Nella conferenza stampa di ieri, tenutasi alla Casa Bianca, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha accettato una proposta in 20 punti per mettere fine alla guerra a Gaza. Tra questi, vi è la creazione di un “Board of Peace” (Consiglio di Pace) internazionale, che avrebbe il compito di supervisionare il comitato palestinese tecnocratico e apolitico della Striscia, previsto dal piano di Trump. Questo Consiglio dovrebbe essere presieduto da Trump stesso e dall’ex primo ministro britannico Tony Blair. Ma quali sono i rapporti di Blair con il Medio Oriente?
Chi è Tony Blair?
Tony Blair, 72 anni, è stato primo ministro inglese con il partito Laburista dal maggio 1997 al giugno 2007. Politicamente, Blair (e il «Blairismo») è stato associato agli investimenti sostanziosi nei servizi pubblici, all’atlantismo e alla ricerca di una «terza via» (Third way), che intrecciasse il neoliberismo e la socialdemocrazia. Tuttavia, gli anni del suo governo sono stati contrassegnati da diverse ombre, come l’appoggio ai bombardamenti Nato in Serbia nel 1999 e il sostegno alle guerre in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003, iniziate dall’allora presidente statunitense George W. Bush e che compromisero notevolmente l’eredità politica di Bush stesso e di Blair.
L’appoggio a Bush in Iraq
Tony Blair fu un attivo sostenitore della guerra in Iraq iniziata da George W. Bush, il cui principale obiettivo era la deposizione di Saddam Hussein, allora presidente iracheno, accusato di avere armi di distruzione di massa in suo possesso. Blair divenne di fatto il portavoce in Europa delle iniziative statunitensi in Iraq. L’avventura sanguinosa e fallimentare statunitense finì però per minare la nomea di Blair in patria e in Europa, specialmente in seguito alla pubblicazione del rapporto Chilcot (il 6 luglio 2016). Attraverso un’inchiesta ufficiale del governo britannico, guidata da sir John Chilcot, commissionata nel 2009 dall’allora premier Gordon Brown, sono stati evidenziati infatti gli errori dell’intelligence e del governo britannici prima e durante l’invasione statunitense dell’Iraq. Dal citato rapporto emergevano soprattutto le menzogne deliberatamente veicolate da Tony Blair in Parlamento sulla pericolosità delle minacce provenienti dall’Iraq, nonché gli accordi dell’ex premier con Bush, al quale aveva promesso sostegno «in qualsiasi modo». La reputazione di Blair ne uscì profondamente ammaccata e il suo nome cadde nell’ignominia.
Inviato speciale in Medio Oriente
Nello stesso giorno in cui Tony Blair rassegnò le sue dimissioni da primo ministro, il 27 giugno 2007, annunciò che sarebbe divenuto «inviato speciale» del «Quartetto per il Medio Oriente», un gruppo nato nel 2002 e che comprendeva Nazioni Unite, Stati Uniti, Unione Europea e Russia. Come sostiene Marco Varvello nella sua analisi su La Stampa, è possibile che Blair abbia scelto l’incarico anche «per fare ammenda» del suo passato nella regione e ripulire la sua reputazione. Tuttavia, l’attività svolta dall’ex leader del partito Laburista fu fonte di numerose critiche. Tra queste vi erano i mancati progressi nei negoziati nella guerra israelo-palestinese e i presunti cattivi rapporti con la leadership palestinesi, dovuti alle accuse di un’eccessiva vicinanza alla parte israeliana. Dopo quasi dieci anni di attività Blair finì per lasciare l’incarico. Tuttavia, l’esperienza estese la sua rete di contatti, che tornarono utili quando, nel 2016 Blair lanciò il suo Institute for Global Change, volto a fornire consulenze ai governi mondiali.
La nuova nomina di Blair
Nel luglio 2025, il Financial Times aveva rivelato che il Tony Blair Institute era stato coinvolto nel progetto per la ricostruzione della Striscia di Gaza, che ricordava molto il piano “Riviera Gaza” paventato da Donald Trump mesi prima e diffuso attraverso un video generato dall’IA. L’istituto di Blair aveva sottolineato il suo rifiuto riguardante qualsiasi proposta volta a sfollare la popolazione palestinese da Gaza, affermando che il suo operato si concentrasse sul miglioramento delle condizioni di vita nella Striscia. Ora, il suo nome spicca all’interno del «Board of Peace», presentato da Trump nella conferenza di ieri sera con il premier israeliano. «Il presidente Trump ha elaborato un piano coraggioso e intelligente che, se approvato, può porre fine alla guerra», ha commentato Blair all’indomani. L’appoggio di un ex rappresentante del partito Laburista come Tony Blair al repubblicano Trump non deve sorprendere, essendo lui un politico post-ideologico, dedicato di volta in volta a iniziative e soluzioni di esponenti di partiti diversi e legato ad un’unica condizione: «basta che funzioni».