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Summit UE-Cina, scontro ad alta tensione

Nell’ambito delle misure commerciali statunitensi che partiranno dal 1 agosto, Cina e Ue rispondono con un vertice. Sulle rispettive agende è già stato fissato. Il 24 luglio si terrà un primo incontro a Pechino, il 25 luglio l’appuntamento sarà a Anhui, una provincia a monte di Shanghai. A rappresentare l’Europa saranno presenti la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo António Costa. Ancora non è stata confermata la partecipazione del presidente cinese Xi Jinping.

L’obiettivo principale di questo appuntamento, oltre celebrare il 50° anniversario dei rapporti diplomatici tra Bruxelles e Pechino, è che l’UE rimuova i suoi dazi sui veicoli elettrici. A giugno, il Ministero del Commercio cinese aveva fatto sapere che i negoziati su questo fronte sono solo nelle fasi finali.

Nonostante ci sono stati diverse aperture da entrambe le parti – il Parlamento europeo ha revocato le restrizioni interne agli incontri con funzionari cinesi, mentre la Cina ha revocato le sanzioni contro i deputati europei – non c’è da aspettarsi troppo da questo summit. Questo soprattutto dopo l’intervento della von der Leyen al G7 a Kananaskis. “La Cina ha ampiamente dimostrato la sua riluttanza a vivere all’interno dei vincoli del sistema internazionale basato su regole” ha dichiarato la presidente. Pechino ha rimandato le accuse al mittente, mantendo comunque aperto un canale per il dialogo.

Il problema dello Shock Cinese

L’accusa mossa alla Cina rientra in un quadro più ampio che nasce nel 2001 con l’ingresso di Pechino nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Il Paese, infatti, avrebbe sfruttato i prezzi come fattore di competitività che ha avuto un impatto negativo sui mercati internazionali e anche su quello europeo. Un fenomeno che viene comunemente identificato col nome di “shock cinese”.

Esportando enormi quantità di prodotti a basso costo (vestiti, elettronica, giocattoli, ecc.), ha ridotto la capacità di molte aziende manifatturiere europee e statunitensi di poter competere con i prezzi cinesi. Per questo sono fallite o hanno delocalizzato la produzione in Asia. Il risultato è stato un calo massiccio dei posti di lavoro manifatturieri soprattutto tra gli anni 2000 e 2010.

Le questioni in sospeso

Al momento rimangono diversi nodi economici tra i due Paesi. Primo tra tutti la questione terre rare: la Cina controlla il 60% dell’estrazione e il 90% della raffinazione di questi territori e per questo motivo l’Europa dipende da Pechino. Per proteggersi ha attuato delle strategie di de-risking e la Cina ha promesso un “canale verde” per facilitare l’esportazione verso l’Europa, ma in cambio vuole che l’UE riduca i dazi imposti alle auto cinesi. Questione altrettanto delicata, vista la crisi energetica che mette a dura prova i produttori europei.

A rendere ancora più interessante i dossier aperti è la politica estera. La Cina sembrerebbe appoggiare la Russia e lo dimostrerebbero anche le recenti dichiarazioni fatte dal presidente a sostegno dell’omologo Putin. Il problema europeo esiste in prospettiva di un possibile slittamento degli Stati Uniti (con Trump) fuori dalla questione Ucraina e della sua difesa.

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