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Le dichiarazioni di Trump: dazi per Mosca, Tehran accetti le trattative sul nucleare

Anche sta volta il signor Trump ha detto la sua. Dazi per la Russia se Putin impedirà la risoluzione del conflitto ucraino, e bombardamenti per l’Iran se Tehran non accetterà la trattativa diretta sul nucleare. E poi, in aggiunta, la possibilità di prolungare il suo mandato al 2032, aggirando la Costituzione americana.

Le dichiarazioni di domenica alla Nbc pesano nello stile MAGA: non di certo inaspettate, ma sicuramente taglienti. Che in merito alla Russia Donald Trump potesse cambiare idea non c’è da stupirsi. Colpo di scena per Zelensky con Trump che, dopo la scenetta alla Casa Bianca, complice del disappunto ucraino e della teatralità americana, interviene a prenderne le parti. Perché si, l’America risolverà il conflitto ma «Se io e la Russia non dovessimo arrivare a un accordo per fermare lo spargimento di sangue in Ucraina e se la colpa fosse della Russia, allora applicherò dazi secondari sul loro petrolio» ha chiosato mister Donald nell’intervista, aggiungendo che in settimana prevede di sentire il leader russo.

Insomma, la volubilità americana colpisce ancora e il quadro diplomatico resta incerto. Zelensky intanto si sta muovendo modificando la bozza americana dell’accordo sulle terre rare. Il completo controllo su queste aree potrebbe infatti rappresentare un ostacolo al processo di adesione all’Unione Europea.

Sul versante iraniano, il rifiuto di colloqui diretti, proposta avanzata giovedì scorso dalla lettera di Trump e squisitamente declinata, ha generato il malumore statunitense. Dalla Casa Bianca arriva una dichiarazione cruda: «Se l’Iran non accetta la trattativa, verrà bombardato». Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha fatto sapere che Tehran ha tutte le intenzioni di instaurare un dialogo con Washington; tuttavia, questo presuppone una correzione nella condotta americana.

Il tanto dibattuto «comportamento scorretto» americano non si nasconde alla luce del sole. La postura americana è dichiaratamente orientata al contenimento di Tehran nel dotarsi della bomba atomica e le affermazioni del Maga rientrano in un gioco di potere dell’ordine internazionale. Sfidare il conflitto nucleare è un rischio che le parole trumpiane si assumono di fronte ad una questione tecnico-militare che a che fare con il calcolo della deterrenza. Non siamo più nel 1949, prima che l’Unione Sovietica si dotasse di un proprio armamento nucleare. Oggi la diffusione di armi nucleare trasportabili esiste e influenza gli ordini regionali nonché internazionali.

Così Washington deve fare i conti con un delicato gioco geopolitico e si arma di dichiarazioni che vanno ben oltre una diplomazia tradizionale, minacciando azioni drastiche nei confronti dell’Iran e complicando ulteriormente i rapporti tra i due Paesi. Mal che vada, dazi anche per Tehran, dazi per tutti. Di certo le affermazioni di sfida in merito alla trattativa nucleare intervengono proprio oggi, a ridosso delle ritorsioni commerciali che partiranno il 2 aprile.

La tempistica non è casuale: con l’avvio delle ritorsioni commerciali, Trump sembra voler ribadire la sua fermezza di leader internazionale, sperando che Teheran senta il peso delle sanzioni anche in relazione ai legami economici con Pechino. Sembrerebbe un modo, questo, per estendere la pressione economica su più fronti, mentre di diplomazia tradizionale ne rimarrebbe solo l’ombra, un’opzione secondaria.

Sul fronte interno, infine, si fa strada l’ipotesi di un terzo mandato. «Ci sono diversi modi per farlo» ha precisato il presidente statunitense. E ci sono modi per farlo perché la Costituzione americana in realtà fissa un tetto di due elezioni, termine che Donald Trump ha raggiunto, ma sembrerebbe non voler rispettare. Come Putin nel 2008 con il suo protetto Medvedev, così è possibile che Trump si affidi al suo discepolo J. D. Vance, un “passa nomina” e tramite per la presidenza. E ricevere da lui i poteri una volta eletto.

Un’ipotesi spaventosa, al di là delle rigide regole, all’insegna di soluzioni non ortodosse, che si fa beffa dei limiti imposti dalla legge. In un sistema in cui le carte vengono rimescolate, la sovranità popolare è defilata e la Costituzione reinterpretata, che orrore la democrazia che si prospetta, se ancora possiamo chiamarla tale.

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