La Svizzera è finita nella tempesta commerciale innescata dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. A partire dal 7 agosto, le esportazioni svizzere verso il mercato americano saranno soggette a dazi pari al 39%, una cifra ben superiore al 31% inizialmente minacciato nei mesi scorsi.
Il provvedimento è contenuto in due ordini esecutivi firmati lo scorso venerdì dallo stesso Presidente, che ha annunciato una nuova serie di tariffe doganali contro diversi Paesi. Sorprende, in particolare, il fatto che la percentuale imposta alla Svizzera sia più del doppio di quella applicata all’Unione Europea, fermatasi al 15%.
Il colpo è duro per l’economia svizzera, da sempre fondata su un modello fortemente orientato all’export. Le reazioni dal mondo imprenditoriale non si sono fatte attendere. “Siamo un Paese esportatore – ha dichiarato un portavoce di Swissmem, la principale associazione dell’industria manifatturiera – e questi dazi sono irrazionali e pericolosi. Potrebbero mettere a rischio migliaia di posti di lavoro”. La Svizzera esporta ogni anno circa il 19% dei suoi beni proprio verso gli Stati Uniti, primo partner commerciale per prodotti chiave come farmaci, macchinari di precisione, orologi e cioccolato.
Al momento, sembrano essere esclusi dalle nuove misure protezionistiche i prodotti farmaceutici e le importazioni di oro, che rappresentano una parte fondamentale del surplus commerciale della Confederazione. Tuttavia, il colpo rimane pesante: secondo i dati ufficiali, le esportazioni svizzere verso gli USA valgono circa 60,9 miliardi di dollari. Non stupisce quindi che il principale indice della Borsa svizzera, lo SMI, abbia reagito negativamente, registrando un calo dello 0,4% nella giornata successiva all’annuncio, in controtendenza rispetto agli altri listini europei.
Alla base della mossa di Trump ci sarebbe il persistente disavanzo commerciale degli Stati Uniti nei confronti della Svizzera, che ha toccato quota 40 miliardi di dollari. Un dato influenzato in modo significativo dalle importazioni americane di oro e prodotti farmaceutici – settori che restano esclusi dai dazi. Il Presidente ha accusato la Svizzera di approfittare delle regole del commercio internazionale, conducendo una “concorrenza sleale” ai danni dell’economia statunitense.
Sul piano politico, la decisione ha provocato un’ondata di critiche a Berna. “Una sorpresa e una delusione”, hanno commentato diversi esponenti di governo, mentre dal Parlamento sono arrivate parole di forte preoccupazione. L’iniziativa americana rischia infatti di incrinare i rapporti non solo bilaterali, ma anche l’equilibrio con altri partner europei. In molti leggono nell’azione del Presidente un messaggio ben preciso: nessuno è al sicuro, nemmeno un alleato storico come la Svizzera, simbolo di neutralità e diplomazia discreta.
In questo contesto, il governo svizzero è chiamato a una delicata gestione diplomatica, cercando di evitare un’escalation che potrebbe ulteriormente danneggiare l’economia nazionale. Alcuni analisti sostengono che Berna potrebbe rivolgersi all’Organizzazione Mondiale del Commercio per contestare la legittimità dei dazi, anche se i margini di manovra, in un’epoca di crescente unilateralismo, appaiono limitati.
La decisione di Trump scuote dunque le fondamenta di una storica relazione commerciale e apre un nuovo fronte nella guerra commerciale globale. Per la Svizzera, il tempo delle certezze sembra finito: ora dovrà affrontare una sfida che va ben oltre l’economia.