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USA: sistema di tassazione da Obama a Trump

La riforma fiscale promossa da Trump nel 2025, soprannominata ironicamente “Big Beautiful Bill”, è molto più di uno slogan elettorale. Dietro le mance detassate e gli account “MAGA Baby”, si nasconde una filosofia fiscale chiara: massimo stimolo al consumo, minimo prelievo sul reddito personale, e forte disintermediazione statale. Tutti elementi che risultano critici nell’economia statunitense. Vediamo insieme perchè.

Principali punti critici

Le esenzioni per straordinari e mance piacciono alla base elettorale populista, ma sono viste da economisti moderati come “poco rilevanti a livello macro”: impattano pochi contribuenti e creano asimmetrie nel mercato del lavoro.

Il credito d’imposta per figli (CTC) è salito a $2.200, ma è non interamente rimborsabile e soggetto a soglie. I critici sostengono che favorisca i ceti medi, ma lasci indietro famiglie a basso reddito che non raggiungono soglie tributarie.

L’idea di creare un fondo da $1.000 per ogni neonato USA ha impatto economico limitato: non è indicizzato, non garantisce rendimento, e il capitale è vincolato per decenni. È più un gesto identitario che una politica redistributiva.

Poi ci sono le estensioni dei tagli TCJA che hanno un prezzo considerevole: il Congressional Budget Office stima un aumento del deficit di oltre $3.5 trilioni nei prossimi 10 anni, se non compensati da tagli alla spesa. Questo mette a rischio Medicare, Social Security o porta a futuri aumenti delle tasse.

Il pacchetto di misure spinge verso un’America fiscale più semplice, meno progressiva, ma anche meno redistributiva. Secondo la Brookings Institution, il rischio è un sistema in cui i più ricchi traggono il massimo beneficio percentuale, pur pagando di più in assoluto.

La politica fiscale dello stimolo e dell’equità di Obama

Tutt’altra storia è stata invece con i due mandati (2009-2016) del presidente statunitense Barack Obama che ha implementato una politica fiscale fondata su tre pilastri: stimolo economico post-crisiequità redistributiva, e responsabilità di bilancio a lungo termine.

Dove Trump oggi semplifica e taglia con effetti immediati ma a rischio strutturale (aumento del deficit, vantaggi regressivi), Obama in passato ha scelto il percorso più difficile ma più sostenibile, cercando di proteggere la classe media attraverso crediti mirati e deduzioni rimborsabili, rendere progressivo il sistema, chiedendo un contributo maggiore ai redditi alti e stimolare l’economia senza sacrificare il bilancio federale nel lungo periodo.

Obama non promise miracoli fiscali, ma cercò un equilibrio tra crescita e giustizia sociale. Con l’economia americana in recessione a causa della crisi finanziaria del 2008, varò l’American Recovery and Reinvestment Act (ARRA) nel 2009: un pacchetto da $787 miliardi che includeva tagli alle tasse per lavoratori, estensione del Child Tax Credit (CTC) a famiglie con redditi molto bassi.

Ma non solo. Varò anche l’American Opportunity Tax Credit (AOTC) per studenti universitari (fino a $2.500/anno per 4 anni) e decretò l’aumento temporaneo dell’Earned Income Tax Credit (EITC) per famiglie numerose.

Usare il sistema tassativo come strumento per rafforzare la classe media, ridurre le disuguaglianze e garantire crescita sostenibile è stata la missione della politica fiscale del governo Obama. Trump, invece, offre benefici immediati ma parziali, con effetti diseguali e costi futuri non ancora spiegati. Perchè lapproccio migliore resta quello meno appariscente, ma più solido, inclusivo e fiscalmente responsabile.

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