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L’Europa frena la mano, scatta il Panic selling

La virata americana segna un profondo rosso nei mercati internazionali richiamando l’attenzione sulla questione protezionismo. La volatilità che hanno registrato la Borsa di Milano, i listini asiatici, ma in primis Wall Street, segna il timore generale per gli investitori di una possibile guerra commerciale globale, timore che è stato in grado di generare importanti ribassi nei mercati azionari.

Sfumano ben 2mila miliardi per l’America e 422 per l’UE. Il Fondo Monetario Internazionale(FMI) ha espresso la sua preoccupazione per l’incertezza economica che rischia di trasformarsi in un escalation su larga scala e ha invitato USA e gli altri Paesi a dialogare, per ridurre il rischio di un disastro globale.

In Asia è il via alla migrazione da titoli di elettrodomestici, prodotti di consumo e azioni hardware con Nikkei 225 che ha registrato un calo di 2,7%, al minimo da 8 mesi, e la cinese Shenzen che chiude in rosso(-1,5%). Wall Street, invece, vede nero con il negativo di Nasdaq (-5,97%) e di Dow Jones(- 3,98%). S&P, in particolare, ha registrato una flessione negativa del 4,84%, un risultato che non si registrava dal 2020, l’anno del Covid. Perdite significative anche in Europa, con il calo del 3,6% per la FTSE Mib di Milano e il crollo di rilevanti indici europei come il DAX di Francoforte e il CAC 40 di Parigi.

Le Bigh Tech in ribasso anche loro

Mentre Wall Street vive il suo secondo giorno d’inferno, Trump e amici hanno opinioni diverse su quanto sta accadendo. Sentendo il presidente statunitense, la possibilità della guerra commerciale è un po’ come una febbre che prepara il sistema immunitario del malato alla guarigione. Vuole un America nuova, resettare l’economia globale e farlo sulle spese di Unione Europea e Cina soprattutto. Una politica populista, sovranista che non va osservata con moralità, ma solo con sguardo politico.

Per questo la possibile delusione dei miliardari – Zuckerberg, Bezos e Musk – sarebbe giustificabile solo nella misura in cui, il rapporto che li lega a Donald Trump, è un rapporto più di amicizia che non di interesse. Di dubbio punto sicuramente quest’ultima considerazione. Lo dimostra l’inversione di marcia che l’impero Meta ha intrapreso all’alba delle elezioni di novembre sul politically correct, fronte Instagram, e il recente avvicinamento del capo di Tesla al mondo della politica.

In merito al tragico risveglio dei mercati, Tesla, Amazon, Meta e, Nike sopratutto, con un calo del 14,47%, aprono in rosso. Il colosso dell’automotive registra un ribasso del 5,5% che è costato a Elon Musk una perdita di 10 miliardi, mentre Bezos recede di 16 miliardi, causa questa, la perdita di terreno di Amazon(-9%). Zuckerberg, invece, scende di 9% a Wall Street e registra una perdita di 18 miliardi in totale.

L’Europa che vorremmo

Meno sovranismi, più sovranità europea. Da Palazzo Chigi arriva la proposta di una Task Force che si occupi del problema dazi, una risposta indirizzata a contenere, più che ad agire. Insieme all’Italia si schiera l’Islanda, mentre oltre alla Lituania, solo Macron, dall’Eliseo sembra voler il pugno duro: ha presentato una proposta di interruzione degli investimenti francesi ed europei nel continente europeo. Nel frattempo fonti europee fanno sapere che i controdazi saranno effettivi a partite dal 15 aprile, rimandati, per quanto si possa, nella speranza che l’Europa faccia l’Europa.

Il timore più grande non è la ripercussione economica, ma la mancanza di inerzia dell’Europa che, per quanto ci provi, rimane immobile nel confronto con gli Stati Uniti. Un po’ per non doversi scollare dal vassallaggio americano, un po’ perché, tra chi ha aspettato con ansia il liberation day, la credenza assoluta era la speranza. “Non può, Trump, agitare il bastone contro l’Europa”. Probabilmente in nome di un’amicizia, sulla quale però non si basa la politica estera, né tanto meno la politica di Trump, egoista, nutrita e intrista di interessi nazionali.

Speriamo il Vecchio Continente, sempre in nome di quell’amicizia che ha deluso e ci si aspettava deludesse, sia pronta non tanto nel rispondere, quanto nel pensare al proprio cortile di casa. Bruxelles è tempo che si guardi dall’esterno per pensare a trasformare la crisi della battaglia dei dazi, in un’opportunità di crescita. Intanto la Commissione UE ha già annunciato un pacchetto di 12 miliardi di investimenti, come parte del Global Gateway, a corteggiare l’Asia Centrale. Lento, ma un primo passo, almeno.

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