Bronzi e sculture in pietra, dal Mugello al Montalbano, per ricostruire le tracce della presenza etrusca nella toscana nord-occidentale. A Palazzo Pretorio fino al 30 giugno 2016. www.palazzopretorio.prato.it.
PRATO – “Chi non sa dov’è, non sa chi è”. È una delle citazioni più significative di Un bellissimo Novembre, raffinata pellicola di Mauro Bolognini che indaga anche il senso dell’identità da conservare nel tempo. In quest’ottica, la conoscenza del territorio e della sua storia è elemento imprescindibile per capire le proprie radici, il significato di usi e costumi ancora oggi in buona parte consueti, e per saper ritrovarne le tracce in piatti della cucina quotidiana, o in atteggiamenti di persone familiari.
Popolo misterioso, l’etrusco, le cui incerte origini anatoliche sembrano confutate da una ricerca effettuata nel febbraio 2014: confrontando il DNA mitocondriale dell’attuale popolazione toscana con quello estratto da ossa scoperte in alcune tombe antiche, parrebbe dimostrato come gli Etruschi non siano originari dell’Anatolia, come sosteneva Erodoto, ma fossero una popolazione autoctona italica, come invece sosteneva Dionigi di Alicarnasso. Diatriba sulle origini a parte, non può non affascinare, a distanza di secoli, quella poetica solarità che contraddistingueva la loro visione della vita, gaudente e riflessiva quanto basta, che permise loro di fondare un fiorente regno fra Umbria, Toscana e Lazio, prima di soccombere alla straripante potenza militare di Roma. Ma ancora oggi, quasi commuove la solennità dei tumuli funerari, adorni di cipressi e circondati da un silenzio antico di secoli, solenne quanto la Storia. E la bronzea Chimera ancora ci parla della visione etrusca della vicenda umana, sempre in antitesi fra bene e male. Un’arcaicità la cui grazia ineffabile è eternata dall’accentuazione drammatica della posa e nella sofisticata postura del corpo e delle zampe, tipiche del gusto etrusco della prima metà del IV secolo a.C. L’avventura della riscoperta etrusca in Toscana prende le mosse dal raffinato gentiluomo inglese Thomas Coke, che nel 1719, in visita a Firenze, rinvenne presso un antiquario il manoscritto De Etruria Regali, scritto nel Seicento dallo scozzese Thomas Dempster, e considerato il primo studio dettagliato sulla civiltà etrusca. Queste ricerche catturarono l’attenzione di Filippo Buonarroti, ministro della corte lorenese e collezionista di reperti etruschi. Ma la stessa famiglia Medici, cui è dedicata una parte del De Etruria Regali, prestò attenzione agli sviluppi delle prime ricerche archeologiche in Toscana, anche per rinsaldare il loro legame con il territorio, del quale dal 1569 erano divenuti Granduchi. A questo inestimabile patrimonio archeologico, nel 1997 si è aggiunta l’area di Gonfienti, purtroppo ancora oggi non completamente dissepolta, a causa della sconsiderata realizzazione dell’Interporto della Toscana Centrale, che ancora oggi insiste su gran parte dell’intera area etrusca. La mostra può essere un’occasione per riportare Gonfienti sotto i riflettori dell’opinione pubblica, e far sì che i recenti accordi fra Regione Toscana e Comune di Prato vadano verso la concreta ripresa degli scavi.
Pur non toccando l’ampio respiro delle recenti mostre cortonesi (per numero e tipologia dei reperti esposti), quella pratese è comunque un’occasione di scoperta e approfondimento della crepuscolarità della civiltà etrusca. Aggirarsi fra statuette e steli, ammirare la raffinatezza del bronzo e la delicatezza dei volti scolpiti nella pietra, significa compiere un viaggio in un’epoca ormai leggendaria, che però ha fornito materia di studio a generazioni di eruditi, il cui amore per la cultura si intravede anche nella certosina opera di studi etruschi compiuti nei secoli. E oggi, lasciarsi avvolgere da questi capolavori, significa riannodare il legame con il territorio. E capire chi siamo.