Esattamente 80 anni fa, quella che sarebbe diventata una delle pagine della storia più lette di sempre stava per essere scritta. Era il 6 agosto 1945. La guerra tra Giappone e Stati Uniti andava avanti da oltre tre anni, e entrambe le potenze erano ormai stremate. L’America decise di usare l’artiglieria più distruttiva di cui disponesse, e quel giorno il mondo cambiò. Forse per sempre. Fino a quel momento, la bomba atomica era stata solo una minaccia. Ma il 6 agosto diventò realtà.
6 agosto 1945: Hiroshima
La mattina a Hiroshima sembrava una come tante. Nessuno avrebbe mai immaginato che si stesse per scrivere una nuova pagina di storia, probabilmente tra le più nere di sempre.
Erano le prime ore del giorno quando la rete radar giapponese lanciò un allarme immediato, rilevando l’avvicinamento di alcuni velivoli americani nella zona meridionale del Paese. Poco prima delle 08:00, però, la stazione radar di Hiroshima stimò che si trattava di pochi aerei, probabilmente non più di tre, e l’allarme venne ridimensionato.
Nessuno poteva sospettare che, a 9.450 metri d’altezza, un pilota americano stava per premere un bottone destinato a cambiare il destino di centinaia di migliaia di persone. Il suo nome era Paul Warfield Tibbets, colonnello dell’aeronautica. Accanto a lui, il maggiore Thomas Ferebee. Bastò un gesto e la bomba “Little Boy”, un ordigno carico di uranio-235, esplose a 580 metri sopra l’ospedale di Shima, sprigionando una potenza equivalente a 15.000 tonnellate di TNT.
Erano le 8:15 quando un lampo di luce accecante spaccò il cielo sopra Hiroshima. Il calore rase al suolo ogni cosa, riducendo in cenere le forme di vita e sciogliendo persino l’acciaio. In pochi istanti, un’enorme nube a fungo si levò per 12 chilometri nell’aria. Quel giorno morirono circa 140.000 persone: bambini, donne, anziani. Persone comuni. Esattamente come noi. Nessuna colpa, nessuna responsabilità. Solo vittime.
9 agosto 1945: Nagasaki
A distanza di tre giorni, la storia si ripete. Agli americani non basta e così il 9 agosto “Fat Man”, esplode su Nagasaki. Stavolta l’ordigno, caricato con plutonio-239, è ancora più potente. La bomba esplose a circa 470 metri d’altezza vicino a fabbriche d’armi, a quasi 4 km a nord-ovest da dove previsto. Questo “sbaglio” salvò gran parte della città, protetta dalle colline circostanti. Tuttavia, anche qui, il bilancio delle vittime fu tragico: circa 40.000 persone morirono all’istante. I feriti superarono le 55.000 unità, e il numero totale dei morti, compresi gli effetti a lungo termine, si aggirò attorno alle 80.000 vittime.
Le bombe che posero fine alla guerra
Il Giappone dovette fare i conti con quell’evento inaspettato. La guerra con l’America non poteva andare aventi e così, il 14 agosto 1945, il Giappone accetta le condizioni di resa degli Alleati. La Seconda Guerra Mondiale si conclude formalmente il 2 settembre 1945, con la firma della resa a bordo della corazzata USS Missouri, nella baia di Tokyo.
Dopo il 1945
L’orrore della bomba atomica però non si arresta a quei tremendi giorni d’agosto. I giapponesi dovranno fare i conti con quelle giornate per mesi e anni. I sopravvissuti, conosciuti come Hibakusha, dovettero affrontare anni di sofferenze: leucemie, tumori, malformazioni. Le donne incinte esposte alle radiazioni ebbero tassi altissimi di aborti spontanei e figli con gravi disabilità fisiche e cognitive. Il rischio di cancro rimase elevato per tutta la vita, anche tra chi non mostrava inizialmente sintomi.
La bomba atomica porta con sé, ancora oggi, innumerevoli interrogativi e riflessioni. È stato necessario? Era l’unico modo per concludere la guerra? Qual è il prezzo morale di una simile scelta? Le risposte, forse, non saranno mai definitive. Ma una cosa è certa: ricordare resta fondamentale. In un tempo in cui il potere e l’interesse economico sembrano spesso prevalere sull’umanità, la memoria di quei giorni bui ci impone una riflessione profonda. Tutto questo vale davvero più della vita umana?