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La prònoia ci salverà tutti?

Siamo in crisi. In crisi il concetto di società, in crisi l’individuo, ma non c’è da disperarsi: è in atto una rivoluzione. Nel 2005 uscì un libro dal titolo curioso quanto ambizioso, “Prònoia è l’antidoto alla paranoia“, con cui l’astrologo e scrittore Rob Brezsny, ha dato il via ad un attivismo spirituale per una concezione benevola dell’Universo.

La Prònoia è la convinzione che il mondo – e in maniera più grande l’Universo – stia lavorando per aiutarci, o sostenerci in qualche modo. In altre parole, è un’illusione positiva del benestare cosmico nei confronti dell’io individuale, una squisita manifestazione di egocentrismo soggettocentrico che abbiamo abitato come attitudine, almeno una volta nella vita. Magari nel momento in cui riusciamo a prendere l’autobus all’ultimo secondo, con le porte che si stanno per chiudere, oppure quando ci cadono le chiavi vicinissimo ad un tombino, ma non ci finiscono dentro e sembra che la vita e il mondo girino per il verso giusto: il nostro.

Insomma un sano invito al vedere il “bicchiere mezzo vuoto”, ma non solo. C’è chi osserva di buon grado l’opportunità di una filosofia esistenziale che incoraggi il distacco dal cinico individualismo coevo, come uno stoico rientrare in sè, e chi appartiene, invece, ad un filone critico, che si tiene alla larga dal giudicare in maniera assoluta questa visione positiva, quasi religiosa, come priva di problemi.

Edonismo moderno e iper-dipendenza dall’altro

E’ possibile problematizzare questa che appare come una filosofia di vita? Secondo il sociologo H. Goldner che per primo, nel 1982, osservò questo fenomeno nella complessità sociale e nell’ambiguità culturale contemporanea è possibile, dal momento che esistono forme conflittuali di coscienza in grado di generare spazi alternativi di introspezione echochamberiana.

Siamo diventati sempre più dipendenti dalle opinioni degli altri sulla base di criteri incerti. Una società liquida impone, alla maniera baumaniana, il pericolo e l’onere della scelta. Un onere che implica lo sfumare di confini per poter saltare più facilmente, ma in maniera più rischiosa, da un’appartenenza sociale all’altra. Se prima potevamo farci guidare da una vita già scritta da luoghi e da una socialità inscalabile, oggi la responsabilità della vita che conduciamo spetta unicamente a noi. E il dilemma diventa “conformismo o audacia della scelta?“.

Il collasso dei contesti, motivo per cui oggi è possibile avere il proprio datore di lavoro e anche il proprio migliore amico, entrambi tra i follower di Instagram, ha determinato uno scollamento della propria identità da una precisa collocazione, sociale o individuale che sia. Siamo Uno, nessuno, Centomila, alla maniera di Pirandello, a volte senza ricordare la radice identitaria alla quale torniamo ogni volta che rimaniamo in compagnia di noi stessi soltanto.

La prònoia costruisce un senso del sé chirurgico ed esasperato che, soffrendo di una eccessiva frantumazione, deve ricucire i pezzi di un vissuto monadico e di un senso di isolamento, in cui gli altri sono cellule impercebili e distanti. Avvertire che gli altri, il mondo tutto, collaborano per il nostro benessere, ricongiunge l’essere umano con il suo senso di sé, che ottiene una spinta egocentrica, tipica del bambino freudiano, e si percepisce unico, scelto da una qualche divina provvidenza. D’altro canto rimette al centro l’umano come fattore del sociale.

Gli effetti motivazionali della prònoia

Come sosteneva Ferdinand Tonnies in “Comunità e società”, la visione che intende società e comunità come mondo cinico della spersonalizzazione e mondo civico dell’umano, in antitesi tra loro, è riduttiva e non onnicomprensiva della complessità che stiamo vivendo.

Siamo nell’era della comunicazione. Errato. Lo siamo dall’alba dei tempi, da quando l’uomo è stato affibbiato dell’enunciazione aristotelica di animale sociale. Semmai siamo nell’era della comunicazione con il paradosso di una crescente incomunicabilità. La convinzione che un tutto collabori alla nostra buona riuscita e alla nostra felicità, ci guida al di fuori di stress e paura e attiva il nostro sistema libico e la nostra corteccia prefrontale, per aumentare la performabilità dello stare insieme.

Essere positivi, in chiave pronoica, attiva circuiti cerebrali legati al piacere e alla ricompensa, la stessa che consumiamo attraverso uno scrolling eccessivo dei social e che sarebbe meglio ricalibrare in senso esistenziale, in un nuovo modo di riscoprire la socialità. Il cervello sperimenta dopamina e serotonina, motivando il comportamento umano all’attentività, non solo nei segnali dell’Universo, ma nelle azioni che si compiono e che gli altri direzionano a noi. Una buona spinta per l’altruismo e l’empatia, racchiusi, a volte, nell’incapacità di comunicare la coesistenza con gli altri.

Individualismo come paranoia

Non c’è nulla di storico in questa analisi. Richiederebbe un maggiore distacco nel tempo e andrebbe comunque commisurata con delle fonti adeguate. La Pronoia è però socialmente valutabile come chiave di lettura della sua controparte paranoica e negativa.

La paranoia induce a vedere nell’altro il nemico. Oggi questo stato patologico si è convertito in un modus sociale. Lo vediamo attraverso i media tradizionali, la tv soprattutto, che veicolano messaggi di invidia, ansia da prestazione e paura del fallimento del tipo “Gianmarco c’è l’ha fatta: si è laureato in due anni invece che cinque”. È evidente che tutto questo ponga una competizione con quell’io rimpicciolito dal neo-capitalismo e con l’altro che è sconosciuto quanto il sè, se non di più.

E’ figlia di un senso di frustrazione generato da un mondo iper-socializzato in cui l’altro può essere considerato un nemico perché non si osserva la propria umanità e non la si può dunque rintracciare all’esterno. Si fa prima a puntare il dito fuori che a guardarsi dentro. E così, in una realtà che diventa complessa, la via più semplice ha sempre un occhio di riguardo, quel sentiero in cui si esternalizza il problema e si attribuisce una responsabilità stanca a qualcuno, purché non noi.

Ci spaventa un mondo in cui il gruppo osserva senza fare nulla, tuttavia quell’atteggiamento ha una madre e un padre. L’assenteismo sociale misto a deresponsabilizzazione sono decostruibili e riprogrammabili attraverso la prònoia. E’ il paradosso perfetto: ci illude di essere al centro di un mondo che ci “vuole bene”,e allo stesso tempo, ci tiene lontani dalle difficoltà dell’esistenza sociale, a tratti, sollevando l’animo, a tratti, ricostruendo un senso di comunità cancellato dall’individualismo moderno.


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