Imbrigliare il tempo, misurarlo nel suo mutare instancabile e fare di Cronos, fratello di Thanatos, il compagno quotidiano della vita mortale degli uomini. Il calendario e la festa rappresentano la manifestazione pragmatica, quotidiana della dimensione intima del rapporto tra l’umanità e tempo, il concretizzarsi della “distensio animi” agostiniana.
La struttura e la definizione del calendario mutano di pari passo con il cangiante modo d’interpretare il mondo nel divenire storico del pensiero umano. Il susseguirsi dei giorni, le metodologie di analisi e calcolo di feste e datazioni sono apparato metasimbolico decisivo per comprendere stratificazioni, mutamenti e cesure. Cambiare il sistema di gestione del tempo significa definire una nuova percezione del reale e dell’uomo sia rispetto alla sua interiorità sia rispetto ai suoi processi produttivi.
Il ciclo del lavoro nei campi e della stagionalità nelle tecniche della pastorizia nomadica si interseca, nella liturgia occidentale, alle due tradizioni che si legheranno nella sintesi cristiana: la concezione di stampo solare della stratificata religiosità romana, in grado di assorbire culti medio-orientali come Mitra e Sol Invictus, e la datazione del calendario caldaico-ebraico basato sul vitalismo del ciclo lunare.
Sintesi cristiana, come spiega il prof. Franco Cardini nel suo libro “Il libro delle feste”, edito da il Cerchio, non semplice riproposizione sotto nuova veste di forme di ritualità anteriore, secondo una teoria dei residui considerarsi in parte superata, ma una complessa forma di acculturazione in grado di entrare in contatto con le forme più popolarmente autentiche dei culti antichi.

La regolamentazione del tempo, di cui la festa è tassello fondamentale, è critico bisogno di attuare una profonda necessità: vincolare la ciclicità stagionale del tempo al nunc, all’ora del rituale che ripropone instancabilmente l’episodio mitico come meccanismo guidato di esplosione controllata della violenza sociale e della rigenerazione delle forze della comunità, dialettica fraterna tra le tendenze autodistruttive dei nuclei comunitari e il Sacro attraverso la venerazione/uccisione del Capro espiatorio (René Girard).
Evidente in tal senso l’importanza che per la liturgia cristiana acquisisce il periodo che si pone tra il solstizio d’inverno e lo scoccare della primavera, range calendariale in cui si celebrano le festività cardine del culto cristiano: Natale e Pasqua. Due momenti decisivi della stagionalità contadina e più complessivamente del ritmo biologico dell’uomo; la fine e il sorgere del nuovo anno con l’arrivo dell’inverno, fase determinante nel ciclo rigenerativo della natura; l’avvento primaverile, momento espressivo della gioia dell’uscita dalle difficoltà invernale ma anche tempo significativo per la vita nei campi e per il decisivo andamento della stagione prossima, limen tra crisi alimentare o prosperità.
La forza del calendario e la potenza della festa non sfugge all’assolutismo monarchico europeo prima e al giacobinismo rivoluzionario poi. Se sono le élite cittadine già a comprendere, nello scenario-teatro della città rinascimentale, come rendersi protagoniste di una gestione controllata delle occasioni festive, potenzialmente portatrici di possibili disordini nel concentrarsi dell’energia “orgiastica “del popolo protagonista, sarà la monarchia assoluta a farsi carico, con la struttura della corte, di una definitiva fase di limitazione delle potenzialità festive attraverso l’esilio delle minacce interne negli ingranaggi della società di corte.
Con la rivoluzione francese, il calendario stesso diviene protagonista con una completa revisione della tassonomia e l’istituzione di nuove forme di festività repubblicane. Nuove Celebrazioni nate con l’obiettivo di istituire una rinnovata percezione del mondo sulla base del superamento, tipicamente a matrice illuministica, di quelle credenze religiose considerate frutto di superstizione e di una moderna etica civile comunitaria di cui il modello teorico è rintracciabile in Rousseau.
Nella grande trasformazione dell’economia globale e dei processi produttivi, il tempo della festa vive una graduale crisi. La festa, a differenza del tempo libero, fase di dispersione dell’energia psichica e priva delle profonde strutture comunitarie delle dinamiche festive, appare sempre meno compatibile con le tempistiche e la necessità dei tempi di produzione. Si definisce un graduale ridimensionamento del momento “orgiastico” della festività, frutto anche dell’indebolimento dei legami delle comunità e dall’imporsi di una gestione individualistica del tempo.
La festa è dunque destinata a sopperire alle tempistiche del capitalismo maturo? L’affermarsi di forme di neo-festivalismo contemporaneo, se da un lato inducono a sorrisi maliziosi sull’effettiva originalità di queste riscoperte, strizzando l’occhio più ad un ritorno economico-turistico, rappresentano allo stesso tempo un indizio sulla necessaria natura umana del tempo festivo e della sua ricerca anche con modalità che appaiono, concedendo il beneficio del dubbio, ingenue o improvvisate. In maniera similare tali evidenze si scorgono anche con il definirsi di episodi di ri-attivazione politica, come il ritorno a manifestazioni di piazza ed episodi di violenza, per esempio il recente caso francese, in cui si possono individuare sottotraccia elementi tipici della catarsi festiva, o il definirsi di forme comunitarie moderne come quelle del tifo organizzato, sfociante in molti casi in forme di conflittualità collettive dal sapore rituale.