Tra poche ore si terrà l’incontro tra Governo e sindacati per discutere ancora una volta delle sorti dell’ex Ilva. La situazione è tragica, le banche non hanno più intenzione di finanziare e ArcelorMittal che al momento detiene il 62% di Acciaierie d’Italia ancora una volta ha rifiutato la proposta del Governo di far salire Invitalia al 66% a patto che la governance restasse condivisa. Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, dopo aver informato il parlamento non ha nascosto che la situazione è drammatica e che “urge un intervento drastico”. Si avvicina sempre di più la possibilità di un ennesimo commissariamento.

Da Elba…
La storia del colosso dell’acciaio però non è sempre stata giudiziaria e fallimentare. Lo stabilimento tarantino, uno dei più grandi in Europa, è il complesso siderurgico più conosciuto; la società risaliva addirittura al 1905 ed era stata fondata a Genova. Il nome Ilva, Elba in latino, doveva rievocare i celebri giacimenti ferrosi dell’isola dell’arcipelago toscano. Sarà nel 1959 però che l’allora ILVA poi Italsider darà vita allo stabilimento tarantino dopo notevoli discussioni in seno all’allora governo.
È il 1965 e il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, a capo di una gioconda Italia che iniziava a sentire i benefici del boom economico, inaugura lo stabilimento. Quella grande industria nel tacco dello stivale sembrava finalmente ristabilire una sorta di equilibrio nella bilancia tra nord industrializzato e sud agricolo. Poi il 1980, arrivano gli anni di piombo e le lotte operaie, il mondo dell’acciaio è colpito da una profonda crisi, Sandro Pertini siede in mezzo agli operai e mangia con loro, fave e cicoria alla mensa comune; è un’altra epoca.
…a ILVA
Il 2005 segna un indotto di 310 milioni di euro, non ci sarà periodo più produttivo. Mentre gli incassi crescono vertiginosamente, la bolla nera, gonfia di morte, ha raggiunto il limite. Il 30 luglio 2012 il primo ufficiale provvedimento di sequestro. L’ILVA, in seguito a due perizie, una chimica l’altra epidemiologica, depositate presso la Procura di Taranto, è accusata di avere avvelenato i suoi figli e i figli dei suoi figli. Iniziano i controlli, il sequestro dell’impianto, gli altiforni iniziano a spegnersi uno dopo l’altro. Escono fuori altri dati e altri morti. Nel 2002 le emissioni di diossina sarebbero state il 30% del totale italiano; nel 2006 il 92%. Polveri di morte ovunque, il prodotto del nostro lavoro, quello su cui si fonda la nostra Repubblica.
La connivenza strutturale
I dirigenti lo sapevano, i politici lo sapevano, in fondo, lo sapevano anche gli stessi operai che l’ILVA la cullavano e la nutrivano notte e giorno, ma si sa, di lavoro si vive e si muore in certe zone.
Nel 2013, un referendum cittadino vota per la chiusura dello stabilimento, la condanna a morte per un mostro che nessuno più vuole in casa propria. Il risultato è schiacciante: la proposta di chiusura dell’ILVA raggiunge l’80% di si. Ma siamo in Italia e la legge non si discute, il quorum non è raggiunto e quindi quelle volontà legittimamente espresse diventano carta straccia per gli altiforni.
Il governo, infine, interviene e commissaria la struttura, parallelamente la Commissione Europea opera una messa in mora nei confronti dell’Italia per il disastro ambientale taciuto.
Nel 2017 subentra l’ArcelorMittal che oggi potrebbe uscire di scena. Qui finisce la nostra storia, gli ultimi operati di governo sono stati fallimentari e le previsioni non sono rosee, proprio come il cielo sopra Taranto, ancora nero di quelle polveri.