Il Presidente Erdogan ha mobilitato 10mila uomini per i soccorsi nelle zone oggetto delle violentissime scosse di 7.8 e 7.5 gradi Richter, che nella notte tra il 5 e il 6 febbraio, hanno colpito la Turchia. Un terremoto mille volte più forte di Amatrice che ha spostato la terra di circa 5 metri e che ha colpito anche alcune zone della Siria, già devastata da più di dieci anni di guerra. Le aree nel Nord Ovest siriano già avevano accolto milioni di sfollati dopo i conflitti. In tutto, 45 paesi hanno offerto il proprio aiuto. Tra questi l’Italia: il primo team della Protezione Civile, composto da Vigili del Fuoco e personale sanitario del sistema maxiemergenze di Toscana e Lazio, è partito nella giornata di lunedì. Ma il numero di morti e feriti aumenta giorno dopo giorno: attualmente si contano più di 10mila vittime anche se per l’Oms è impossibile capire il numero preciso. Tra i dispersi invece, ci sarebbe anche un italiano che si trovava in Turchia per ragioni di lavoro.
Il rischio di epidemia sismica
Le due scosse di 7.8 e 7.5 della scala Richter, verificatesi a distanza di nove ore l’una dall’altra, avrebbero origine nella faglia dell’Anatolia orientale. Il suolo si è spostato di almeno 5 metri coinvolgendo una zona di 190 km e larga 25. Nelle prime ore il numero di scosse minori sarebbero circa 200. Un fenomeno che potrebbe proseguire per giorni o forse mesi, provocando una cosiddetta “epidemia sismica”. Secondo il professor Carlo Doglioni, Presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) “è impossibile prevedere quanto durerà il fenomeno ma fino a quando l’energia accumulata non sarà liberata, il fenomeno non si interromperà”. Quello che si è verificato è uno scivolamento orizzontale della placca Anatolica verso Sudovest rispetto alla placca Arabica generando un tipo di faglia chiamata “transcorrente a bassa profondità” con un ipocentro profondo tra i 15 e i 20 chilometri. Per fortuna, l’iniziale pericolo tsunami per le coste italiane, è rientrato poche ore dopo l’allarme lanciato dalle autorità turche: in effetti il terremoto ha generato uno tsunami ma l’altezza era contenuta, circa 30 centimetri con bassa energia e quando è arrivato sulle coste calabresi, l’effetto era scomparso. Si è stimato che la prima scossa era circa 500 volte più elevata di quella manifestata dal sisma di Amatrice nel 2016 e 30 volte più alta rispetto a quello dell’Irpinia del 1980. Anche la Turchia ha una storia di terremoti violenti, ma i sismi precedenti sono tutti ad un livello simile a questo: dal terremoto di Erzincan del 1939 di 7.8 a quello più recente ad Izmit, di 7.6.
La situazione in Siria: tra guerra e sisma
Un territorio come quello siriano si ritrova doppiamente al collasso: prima il devasto provocato dalla guerra civile contro il regime del presidente Assad e poi il terremoto di questi giorni. Solo nella zona di Idlib vivono 3 milioni e mezzo di siriani e di questi, 2 milioni sono sfollati arrivati da altre regioni. Edifici distrutti dalla guerra e ricostruiti senza norme di sicurezza: blocchi di cemento prefabbricati, appoggiati direttamente al terreno, impilati gli uni sugli altri fino a raggiungere tre piani di altezza. Di quest’ultimi, con scosse così violente, non è rimasto quasi niente. Numerosi sfollati che vanno ad aggiungersi a quelli della guerra, rimasti fuori al freddo in un territorio caratterizzato da continue tempeste e temperature sotto lo zero. La regione di Idlib, quella maggiormente colpita, anche in tempi “normali” è inaccessibile: a Nord il confine militarizzato con la Turchia, a Sud e Ovest il territorio ancora sotto il controllo del regime di Assad, a Est il protettorato turco che ha preso il posto dei curdi ed è sotto il controllo di milizie ostili. Sempre ad Est, c’è Aleppo, seconda città della Siria, altra zona maggiormente colpita dal sisma, tornata in mano al regime alla fine del 2016, dopo una battaglia durata quattro anni contro i gruppi ribelli. Negli anni successivi si è provato ad avviare un percorso di ricostruzione ma molti edifici erano ridotti così male dal conflitto che crollavano da soli: ad oggi si confondo le vecchie macerie con le nuove.
Il ruolo di Erdogan
L’ascesa al potere del Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è avvenuta nel 1999 durante il violento terremoto che colpì l’Anatolia. La ricostruzione, specialmente della capitale Istanbul, diede a Erdogan, che da sindaco della città era diventato deputato e poi Primo ministro, credibilità e visibilità internazionale. Allora la Turchia era ancora un paese arretrato e dotato di una rete infrastrutturale povera ma il processo di ricostruzione promosso da Erdogan, la fece diventare una vetrina agli occhi dell’Occidente per nuove alleanze, consolidate negli anni successivi. Il terremoto di oggi potrebbe essere un ulteriore banco di prova per il Presidente ma non solo per quanto riguarda lo sviluppo interno del Paese ma anche per il tema delle alleanze. La centralità della Turchia, già acquisita con il suo ruolo importante nella Nato, ha raggiunto una rilevanza maggiore nell’intermediazione tra la Russia di Putin e quell’Europa che insieme agli Usa, oggi si trova in prima linea a difesa dell’Ucraina. Entrambi, compresa la stessa Ucraina, oggi sono scesi in aiuto per la Turchia e per quanto riguarda la Siria, la speranza è quella che un emergenza di tale portata possa disgelare i rapporti, come successe nel 1999, quando Grecia e Turchia vennero colpite da un grave terremoto e la solidarietà reciproca contribuì a migliorare le relazioni tra i due paesi.