Un disastro nel disastro quello cominciato il 15 gennaio. È partito tutto da una violenta eruzione, quella del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai. Inizialmente abbreviato come Hunga Tonga, ovvero l’isola formatasi nel 2014 in seguito ad un’altra eruzione e scomparsa con quest’ultima del 2022. Un evento della durata di soli 8 minuti ma estremamente violento tanto da provocare uno tsunami che ha raggiunto territori distanti come le coste del Sud del Giappone, della Nuova Zelanda e del continente americano. Si sono verificati danni alle imbarcazioni e alle infrastrutture costiere mentre due donne sono annegate nei pressi delle coste del Perù. Il territorio peruviano però, è quello che ha subito le conseguenze più gravi: la violenta ondata ha complicato il processo di scarico del gregge di una nave cisterna. Dei 985mila barili di carburante che trasportava, circa 6000 sono finiti in mare.
L’evento: un disastro ambientale che durerà anni
È successo al largo delle coste di Bahia Blanca de Ventanilla (Lima-Perù). Lo tsunami generatosi a seguito dell’eruzione a Tonga, ha danneggiato un oleodotto durante il processo di scarico della nave cisterna italiana Mare Dorium, tra le navi della compagnia petrolifera spagnola Repsol. Un grosso carico: 985mila barili diretti alla raffineria La Pampilla. Secondo Greenme, le transenne galleggianti installate per contenere la fuoriuscita, non sono riuscite nell’intento. Il carburante contenuto nei circa 6000 barili caduti in mare sembra aver raggiunto ben 21 spiagge e tre riserve naturali tra cui quella di Ancon, sede di una vasta biodiversità tra specie animali e vegetali.

Al momento, le autorità peruviane hanno vietato all’equipaggio di lasciare le acque nazionali, fino a quando non saranno chiarite le dinamiche dell’incidente. L’operazione di pulizia ha richiesto anche l’aiuto di volontari. Un appello lanciato dal governo del presidente Pedro Castilla, mentre i dipendenti della Repsol hanno lavorato tutto il 19 gennaio per recuperare il petrolio sulla spiaggia di Cavero, tra le più colpite.
La zona, oltre a presentare una ricca biodiversità marina, è uno dei centri maggiori dello stato per il settore della pesca. Migliaia di pescatori infatti hanno organizzato numerose manifestazioni, portando con loro le reti e le carcasse degli animali sporchi di petrolio.
Mentre l’azienda Repsol sta cercando di “rimediare al danno” per gli esperti l’operazione di pulizia potrebbe durare anni.
Repsol si difende
Per l’azienda spagnola Repsol, il Perù è una regione chiave. Un territorio che negli ultimi anni è stato luogo di un grande sviluppo nel mercato delle energie (non rinnovabili).
Dal 1996, l’azienda è attiva sul territorio nella produzione di gas naturale e petrolio. Oltre alla raffineria La Pampilla che è la più grande e importante dei paesi dell’America Latina, la Repsol ha giacimenti sparsi anche nella foresta Amazzonica nella regione di Cusco.
Un’attività che copre 292 km2 per un totale di 5 milioni di barili di petrolio prodotti e 13 milioni di barili provenienti dalla produzione di gas.
Solo la raffineria produce 117mila barili al giorno, ovvero più della metà della capacità di produzione di tutte le raffinerie del paese. (fonte: repsol.com)
Dopo l’incidente, la compagnia ha aperto una pagina dedicata sul proprio sito, dove ha spiegato tutte le procedure messe in atto per arginare la diffusione del petrolio:
«stiamo lavorando per rimediare all’impatto creato dal rilascio del petrolio. Stiamo usando tutte le nostre forze per monitorare le operazioni, mettendo in campo strumenti tecnologici altamente qualificati continuando a relazionarci con gli esperti e applicando le risorse necessarie: in mare stiamo lavorando con macchinari altamente efficienti per la pulizia delle acque, tracciando le aree colpite e ricorrendo a serbatori di recupero e tubi di aspirazione. Sulla terraferma stiamo rimuovendo manualmente la terra inquinata grazie anche ai volontari con l’equipaggiamento di protezione necessario. Inoltre stiamo usando dei macchinari per mantenere le zone pulite, continuando a coordinare la situazione per proteggere la biodiversità delle zone.»
(comunicato della compagnia su Respol.com)
Secondo i dati forniti da Repsol, attualmente sono a lavoro più di 2000 persone dotate di attrezzature di protezione insieme a 300 truppe militari. Nell’azione di pulizia sono state coinvolte anche 52 navi e 11 petroliere.
Inoltre, tra le zone di Cavero e Faro Chancay è stata installata una barriera contenitiva di 4.880 metri mentre 10mila m3 circa di terreno contaminato, sono stati rimossi.
Contro Repsol: dal governo di Castillo agli ambientalisti
A poche settimane dal disastro, il governo peruviano del socialista Pedro Castillo, cita in giudizio il colosso petrolifero. Si era parlato di infliggere una punizione esemplare a Repsol, principale responsabile del disastro non solo secondo il Premier ma anche per la stragrande maggioranza degli esperti.
Stiamo parlando di un disastro ambientale che ha coinvolto circa 174 ettari di spiaggia e 118 ettari di mare (fonte: internazionale.it). Centinaia di animali sono rimasti intrappolati nella melma nera mentre 1.500 pescatori locali sono rimasti senza lavoro.
La compagnia spagnola ha dichiarato più volte di essere intervenuta tempestivamente mettendosi subito a disposizione delle autorità. A detta dei dirigenti a capo di Repsol, il disastro è la conseguenza di un evento (quello dello tsunami) non prevedibile. C’è da dire però che secondo i residenti della zona, non è la prima volta che si verificano perdite del genere.
Repsol rischia una sanzione da più di 30 milioni di dollari. Nel frattempo la nave italiana è stata sequestrata e la società proprietaria (la Fratelli d’Amico Armatori S.p.A) ha rilasciato un comunicato stampa in cui afferma di mettersi a disposizione delle autorità per determinare la causa dell’incidente. Intanto, il Ministero dell’ambiente ha richiesto maggiori dettagli alla compagnia sulle dinamiche dell’incidente, commentando le azioni di Repsol come “insoddisfacenti e non chiare”. Un’ azienda milionaria che a breve potrebbe perdere i diritti di estrazione sul territorio peruviano.
Alle accuse del governo si aggiungono quelle dei pescatori in rivolta e degli esperti. Tra le voci più autorevoli quelle dello scienziato peruviano Marino Morikawa, specializzato in decontaminazione:
«non menzionano il metodo di pulizia e in base a come stanno avanzando dicono che in 3 o 4 settimane sarà tutto finito. Non so se dovrei chiamarla una presa in giro perché guardando l’espansione del petrolio in atto e con la tecnologia che stanno usando ci vorranno anni… dobbiamo agire immediatamente contro Repsol, hanno l’attrezzatura ma sfortunatamente non l’hanno usata. I danni causati hanno colpito alcune aree in modo irreparabile: i pesci che hanno consumato il greggio non potranno essere venduti come pescato perché risulterebbero tossici per gli umani. Anche i volontari dovranno stare molto attenti, stiamo parlando di componenti tossici che generano irritazioni al naso, agli occhi e alla gola, con possibilità di sviluppare anche allergie alla pelle.»
Le fonti non rinnovabili stanno uccidendo il pianeta
Gli eventi di quest’ultimi anni ci hanno dimostrato perfettamente come le energie non rinnovabili come il gas naturale e il petrolio, oltre ad essere inquinanti già di loro, possono essere estremamente pericolose. Il petrolio è il protagonista dei maggiori disastri ambientali: l’ultimo risale ad ottobre del 2021 quando 3mila barili finirono nelle acque californiane. Tutto avvenne nel giro di poche ore per un malfunzionamento dell’oleodotto che si collegava alla piattaforma petrolifera. Ma il più grande disastro ambientale rimane quello della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon del 2010: milioni di barili si riversarono nelle acque del Golfo del Messico per 106 giorni a seguito di un’esplosione.
Nonostante negli ultimi anni siano aumentati gli investimenti verso la produzione di fonti rinnovabili, l’uomo continua a dipendere fortemente da quelle non rinnovabili. Inoltre, queste fonti di energia sono destinate a terminare nel giro di circa 150 anni. I combustibili fossili derivano da risorse formatesi nel corso di milioni di anni e che noi usiamo solo da qualche secolo.
Ogni giorno, si usano circa 100 milioni di barili, un ritmo che potrebbe portare all’esaurimento del petrolio in 50 anni (fonte: Opec). Un mercato da 10 milioni di dollari al minuto. Investimenti che superano di gran lunga quelli destinati alle rinnovabili. Da anni queste fonti di energie sono state additate come le principali responsabili del cambiamento climatico ma nonostante ciò, le istituzioni continuano a finanziarle. Di questo passo nei prossimi anni i disastri ambientali potrebbero raddoppiare e no… non sarà sempre colpa di uno tsunami.