“Skolstrejk for Klimatet” (sciopero scolastico per il clima). Comincia così, con un cartellone davanti al parlamento svedese e una giovane ragazza, Greta Thunberg, quello che in breve tempo si trasforma in un movimento globale. Fridays for Future, dal 20 agosto 2018, diventa l’argomento centrale dei maggiori tavoli di discussione del mondo. Ogni venerdì, Greta continua a manifestare per chiedere al suo governo di ridurre le emissioni di anidride carbonica in base all’Accordo di Parigi, sottoscritto a dicembre del 2015 da 196 paesi. Dal 15 marzo 2019 le proteste si espandono in molte grandi città, tra cui New York e Milano. Nel periodo post-lockdown dovuto al Covid, il movimento ritorna in piazza e lo fa anche in occasione della Cop26 a novembre del 2021. La conferenza a Glasgow però non ha portato i risultati sperati, dato che il terzo inquinatore del mondo, l’India, ha dichiarato che giungerà ad un azzeramento delle emissioni solo per il 2070. Non sono state positive neanche le promesse di neutralità climatica da parte di altri paesi come Cina, Russia e Stati Uniti.

In questo contesto, il movimento continua a lottare non solo ogni venerdì ma tutti i giorni, soprattutto via social. L’obiettivo, infatti, non è solo la semplice protesta ma anche il promuovere una divulgazione scientifica corretta, in modo tale da tenere informate quante più persone possibili sui cambiamenti climatici in atto e nel farlo, il dialogo con le figure dell’ambiente politico e governativo resta importante. Purtroppo, però, non sempre questo lavoro si rivela facile: negli anni, molti personaggi politici sono stati tra i maggiori oppositori del movimento. Tra le varie prese in giro nei confronti della Thunberg, non sono mancate le molte notizie false girate sul web, portatrici di teorie complottiste e di quello che può essere definito negazionismo climatico. A queste si affiancano poi le cosiddette echo chambers (camere dell’eco) ovvero gruppi privati dove chi ne entra a far parte si confronta unicamente con una sola teoria dominante, priva di una qualche valenza scientifica.
Di questi fenomeni ne abbiamo parlato con Tommaso Felici, attivista del movimento, oggi operativo nella zona di Monterotondo (RM).
Come è stato accolto Fridays for Future sul territorio italiano?
Il movimento è stato accolto nel migliore dei modi, come è evidente dai numeri: siamo stati tra le prime nazioni al mondo per numero di partecipanti agli scioperi globali, cifre che non si vedevano in Italia da molti anni. Probabilmente questo fatto è legato alle nuove generazioni, portatrici di idee ben chiare sul futuro che desiderano per se stessi. È evidente, inoltre, la presenza di una grossa spaccatura tra queste generazioni e la classe politica. Non posso dire che Fridays ha ricucito questa frattura ma sicuramente c’è un’attività giovanile che è pronta a prendersi delle responsabilità e a far sentire la propria voce. La politica ha fatto fatica ad accogliere il movimento, presentandosi indietro rispetto ai tempi attuali. Da quanto c’è Fridays però, c’è stato sicuramente un cambio di dibattito estremo sul cambiamento climatico. Prima del movimento di climate change non se ne parlava così tanto o meglio, la politica se ne era occupata ma con risposte insufficienti per combattere il fenomeno. Portare quindi un argomento così grande, giornalmente, sui principali tavoli di discussione nazionali e internazionali, è stata una prima vittoria per noi.
Come sei entrato a farne parte?
Io sono entrato in Fridays quando frequentavo la magistrale di economia dell’ambiente a Torino, ero il rappresentante del corso e un giorno un mio collega mi invitò ad una delle prime manifestazioni in piazza. Fu bellissimo perché vidi moltissimi giovani liceali, lontano da idee partitiche ma presenti lì in quella piazza, con l’unico desiderio di migliorare il proprio futuro. Quello che mi ha attratto è stata quindi la genuinità dei partecipanti. Allo stesso tempo però non erano preparati, data l’età, dal punto di vista scientifico. Quindi, visto quello che studiavo, entrai nel movimento come esperto. In breve tempo ne sapevano più di me!
Nella lotta al negazionismo climatico, qual è stato il vostro ruolo nell’ambito scientifico?
Il nostro ruolo è stato molto centrale per combattere questo genere di dinamiche, poiché Fridays è un movimento apertamente scientifico tanto che siamo stati citati anche nelle migliori riviste in materia. L’unica via per Fridays era infatti quella di uscire dalle logiche partitiche e concentrarci su quella che era l’oggettività scientifica. Con questo termine però non intendo che quello che dice oggi la scienza sarà per sempre questo: ad esempio molte teorie negli anni sono state riviste e rivalutate. Ma queste discussioni avvengono all’interno della comunità scientifica ovvero Fridays ritiene che chi non è un esperto di queste tematiche non possa permettersi di esprimersi su temi di una certa importanza. Ad esempio, se in futuro uscirà uno studio che confermerà che la CO2 non è determinante per il cambiamento climatico, allora si potrà prendere in considerazione quest’idea. Al momento il 90% della comunità scientifica è concorde che il cambiamento climatico è di origine antropica, cioè dovuto ad un riscaldamento globale anomalo perché innescato dalle attività dell’uomo. Non metto in dubbio che la scienza non è una verità assoluta ma non sei te commentatore di Facebook a dirlo ma semmai gli studi scientifici che si susseguiranno negli anni. Ad oggi, al 99% il climate change è di origine antropica, come dimostrato dagli studi degli ultimi trent’anni.
Per quanto riguarda le fake news, le echo chambers e il complottismo, qual è stata la vostra esperienza come movimento?
Gli interessi politici, quelli economici e le difficoltà delle persone al mettere in discussione le modalità con cui hanno portato avanti la loro vita fino ad oggi, facendo del male all’ambiente, sono le tre dinamiche con cui ci troviamo a combattere e che danno vita a fake news e negazionismo climatico. Si tratta principalmente di una difesa di interessi individuali contro quelli collettivi e il paradosso, soprattutto dal punto di vista politico, è l’andare a convincere le persone del fatto che il cambiamento climatico è una bufala, facendo passare la propria intenzione come indirizzata al bene collettivo quando in realtà si punta solo a conquistare l’elettorato. All’interno del negazionismo abbiamo riscontrato anche molte persone che si fingono esperti, mettendosi al pari di chi studia questi fenomeni da decenni. Poi magari se si va a vedere quel personaggio, non è un fisico atmosferico ma semplicemente utilizza il suo nome per difendere posizioni che non conosce. Contro di noi si sono esposti personaggi che diffondevano teorie completamente false dal punto di vista della scienza e purtroppo queste dinamiche poche volte si sono tenute su toni adeguati. Ad esempio qualche tempo fa feci un’intervista e poco dopo la mia faccia era finita su un post di Facebook, vi lascio immaginare i commenti… io non diedi molto peso alla cosa ma molte altre persone hanno avuto veri e propri crolli psicologici. Bisogna considerare che molti dei nostri attivisti sono giovanissimi e sono stati insultati solo perché si stavano battendo per il nostro pianeta e spesso i commentatori erano adulti dai 30 ai 50 anni. Nella mia esperienza da attivista per un periodo avevo preso l’incarico di rispondere a personaggi politici che diffondevano notizie negazioniste. Ho sempre usato toni pacifici e da quasi tutti sono stato bloccato sulle pagine social. Questo lascia intendere la malafede che c’è sotto molte campagne elettorali: se mi stai bloccando allora non hai nessuna fonte per difendere la tua tesi. Il movimento condanna il negazionismo al di là del colore partitico ma siamo sempre stati aperti al dibattito con tutte le fazioni politiche. Molto spesso, soprattutto a livello locale, partecipiamo ad incontri e convegni, altre volte non veniamo proprio invitati.
In questo contesto Zuckerberg è una figura centrale. Fondatore di Facebook, ora a capo di Meta, c’è chi lo descrive come un imperatore. Una persona quindi a capo dei principali sistemi di comunicazione, usati sia da voi che da questi complottisti, potrebbe essere una pedina importante nella lotta al cambiamento climatico?
Secondo me può esserlo ma non dovrebbe. Ad esempio, sono molto contento se Zuckerberg blocca un tweet negazionista ma si pone il problema che non dovrebbe essere un privato a fare un’azione del genere. Magari oggi lo sta facendo in positivo, un domani, un tale potere potrebbe anche essere usato in negativo. Credo quindi che ci debba essere un maggiore controllo riguardo alle fake news ma non voglio che quest’ultimo sia esercitato da una società privata. Sarebbe meglio il controllo da parte del pubblico, cioè da parte dello Stato. Mi rendo conto che è estremamente complicato riconoscere le notizie false, soprattutto per quanto riguarda il cambiamento climatico. Il dibattito pubblico ovviamente deve essere aperto a tutti, ci sarà sempre chi è contro la tua idea ma non per questo deve essere bloccato. Stabilire quindi una soglia di controllo potrebbe essere una soluzione per la difesa delle verità scientifiche, magari sistematizzando un controllo specifico per determinate fake che riguardano argomenti importanti come i concetti scientifici legati al clima.
Quali sono i vostri progetti futuri come movimento anche in seguito a quanto accaduto durante la Cop26?
Continueremo sicuramente a scendere in piazza ogni venerdì nelle principali città e a far sentire la nostra voce anche nei prossimi eventi e scioperi mondiali, parallelamente proseguendo le nostre campagne di divulgazione sui social in materia di verità scientifica. Rimaniamo poi sempre aperti al dialogo con i politici per proporre le nostre soluzioni, anche in base alle continue ricerche prodotte dalla scienza.
Per quanto riguarda la Cop26 prima di giudicarla un mezzo fallimento, unicamente per colpa di stati come l’India, c’è da dire che se l’UE avesse ammesso le proprie responsabilità storiche e avesse assunto un atteggiamento più giusto nei confronti di nazioni meno sviluppate, anche per quanto riguarda i fondi destinati al cambiamento climatico e per un’equa transizione, sicuramente queste nazioni avrebbero risposto in maniera diversa. L’India è una delle nazioni mondiali che è in credito di CO2 dal punto di vista pro capite, bisogna quindi contestualizzare l’azione di questi paesi. C’è da dire che l’Occidente non può imporre ad una nazione di “smettere di inquinare” quando loro lo hanno fatto per 150 anni dimenticandosi anche i fondi promessi per la transizione ecologica. Inoltre parliamo di paesi che per molti anni e ancora oggi, sono sfruttati dalle principali multinazionali, pensiamo solo al settore tessile o a territori ricchi di materie prime come quelli dell’Africa. In questo contesto la frase “aiutiamoli a casa loro” si tramuta in un obbligo che l’Europa ha nei loro confronti.