E’ questa l’idea che suggerisce Deca-Dance, un cocktail di tasselli del repertorio Naharin, riassemblati in un ordine che si scoprirà solo alla fine dello spettacolo perché ogni nuova rappresentazione è rinfrescata da variazioni.
Si è aperta con questa miscellanea di performances la stagione del Teatro Comunale di Vicenza, la cui rassegna di danza punta in alto, offrendo il meglio che gira oggi nei teatri di tutto il mondo. Interessante la storia di questa compagnia (illustrata nell’approfondito Incontro con la Danza tenuto dal critico e docente Marinella Guatterini), fondata nel 1964 da Martha Graham e dalla baronessa Batsheva De Rothschild che decisero di far nascere una succursale della Martha Graham Company di New York a Tel Aviv, appena sedici anni dopo la proclamazione dello stato d’Israele. L’avvicendarsi nel tempo di famosi coreografi proietta la compagnia in un successo internazionale, mantenuto oggi dal direttore artistico Ohad Naharin, nato nel 1952 in un kibbutz, formatosi prima a Tel Aviv e poi a New York che lascerà in seguito alla morte della moglie per tornare in Israele a dirigere la Batsheva Dance Company.
Grandi contrasti caratterizzano il ritmarsi delle coreografie sostenute da mutevoli brani musicali: dal barocco di Vivaldi, al contemporaneo dei Beach Boys, con intrusioni nei canti popolari e nelle cadenze medio-orientali. Ma, siccome Naharin punta tutto sulla corporeità, è soprattutto nei movimenti che emergono le contrapposizioni; velocità e lentezza, fluidità e rigore, naturalezza e automatizzazione, frenesia e immobilità, si alternano, si succedono, s’incalzano per comporre non una particolare storia ma l’eloquente grafia del linguaggio del corpo.
I danzatori, tutti di età compresa tra i 18 e i 24 anni, non si risparmiano e regalano al pubblico il massimo delle loro espressive potenzialità, rafforzate oltre che dalle tradizionali lezioni di danza classica e contemporanea, da un quotidiano allenamento basato sulla tecnica Gaga, una ricerca sulle movenze spontanee, semplici e istintive, un’esperienza personale per “sentire” il corpo, liberarne la sensibilità e ricompensarlo dalle fatiche fisiche.
Tutto questo produce una bravura eccezionale che non insegue la perfezione bensì l’emozione, captata dal pubblico e ricompensata con entusiastici applausi.
di Cinzia Albertoni
1 novemre 2013