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L’arte della commedia al Teatro Argentina di Roma, 7-19 maggio 2024

La geniale opera di Eduardo De Filippo, “L’arte della commedia”, sarà al Teatro Argentina dal 7 al 19 maggio. L’adattamento e la regia di Fausto Alesi possono regalare un’esperienza unica. Una messa in scena di tre ore, compreso l’intervallo, che mischia il comico ad una denuncia reale e concreta.

Le parole di Campese (Fausto Russo Alesi) che confondono Sua Eccellenza De Caro (Alex Cendron), che passa dalla voglia di continuare la discussione al terminarla, perché sentitosi offeso e forse anche un po’ confuso. Rappresentazioni di una precisione e carica inimitabile, dove le risate non mancano mai. Dal disfattismo del segretario (Paolo Zuccari), all’esuberanza di Padre Salvati (Gennaro de Sia), alla disperazione di Lucia Petrella (Imma villa) fino all’ironia propria del personaggio di Quinto Bassetti (Filippo Luna); ogni storia raccontata, con il suo dramma interno, dotata di una sfumatura tragicomica che emerge nettamente con le convulsioni a tempo di musica di Gerolamo Pica (Demian Troiano Hackman).

Uno spettacolo con le scene di Marco Rossi, che ha trasformato il palco in un vero e proprio campo di battaglia e le musiche di Giovanni Vialetti, che portano con sé entusiasmo e carica ad ogni battuta; insieme ai costumi di Gianluca Sbicca e le luci di Max Mugnai, “L’arte della commedia” di De Filippo pervade il Teatro Argentina con una riflessione a dir poco profonda.

La trama

“L’arte della commedia” fu realizzata dalla stesura di Eduardo De Filippo del 1964. Una commedia teatrale che pone una denuncia rispetto alla posizione del Teatro nella società, rispetto a quella subalternità e non considerazione a cui è stato, con il tempo, relegato.  

La storia di Oreste Campese, un uomo a capo di un gruppo di 8 comici che ha subito l’incidente del “capannone”, un incendio che ha privato la compagnia di avere un palco, ma soprattutto di avere un pubblico. Senza pubblico nessun attore ha potere, ha influenza. Senza pubblico, l’attore non esiste. Oreste Campese decide di recarsi dal Prefetto del Paese, non per avere dei sussidi ma per porgli una richiesta: “Venga a Teatro Sig. Prefetto!”. Forse un desiderio anomalo, forse una pretesa assurda per un Prefetto, ma che era solo il primo passo per attirare i cittadini del Paese allo spettacolo teatrale del gruppo del “capannone”. Era il sotterfugio per riavere un pubblico. Spettatori ormai persi, probabilmente per la messa in scena di opere viste e riviste che non generano più curiosità, ma che annoiano solamente, una monotonia dovuta alla paura di scrivere.

Ci sono gli attori, ma non ci sono né spettatori né autori, senza autore non c’è spettacolo che regga. Un’assenza dovuta a quella paura di scrivere, di dire qualcosa che possa andare contro “quelli dei piani alti”, a quel timore di raccontare la verità. Un autore dovrebbe solamente scrivere, non dovrebbe essere coraggioso, non dovrebbe essere risucchiato da una completa confusione. I dilemmi e le problematiche presentate da Oreste non vengono condivise dal Sig. Prefetto che invece di andare a teatro, e guardare dentro i buchi delle serrature per scoprire la verità, decide solamente di firmargli il foglio di via, perché alla fine a Teatro la suprema verità, sarà sempre la suprema finzione.

Più di una morale, una denuncia

La commedia teatrale di Eduardo De Filippo pone in luce una riflessione metateatrale, evidenziando tutte le domande e gli interrogativi sul ruolo del teatro nella società. Alla fine, tutti i mestieri hanno un valore etico e una funzione sociale, qual è quella del Teatro? Perché nessuno ne parla?

Magari non vi sono limiti evidenti, probabilmente non si tratta di censura, ma di un limite alla libertà. Non vi è libertà di parola, vi è timore nel raccontare, nel condividere la propria verità. Una demarcazione che conduce il pubblico ad allontanarsi dal mondo dell’arte, da quella cultura che dovrebbe fornire delle risposte, o delle verità su cui riflettere.

Una divergenza tra attori e burocrati, tra uomini di spettacolo e politica, che genera solo confusione, un caos che non porta il più debole ad essere protetto, ma ad essere asservito. Il teatro non è libero, ma si batte per il suo valore, per avere un riconoscimento e un’importanza per gli uomini. Non è una battaglia tra lavoratori e governo, è una lotta tra arte e potere.

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