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Lo spettacolo in virtual reality di Elio Germano. Prove tecniche di nuovi corti circuiti teatrali.

L’emergenza pandemica, con le sue conseguenze e i suoi adattamenti, ha cambiato e cambia tutto, le nostre vite in primis, in molteplici aspetti, anche quello dell’intrattenimento e della fruizione degli spettacoli.

Buona la prima

Il Teatro, come ha potuto, non è rimasto inerte di fronte al cambiamento, è andato incontro allo spettatore a distanza, ma ha anche sperimentato – il miglior teatro lo fa…. – modi nuovi di recitare e di assistere agli spettacoli. Quello che Elio Germano ha di recente riportato (non esattamente) in scena a Roma è una di queste sperimentazioni, anzi uno dei primi esperimenti al mondo di teatro in realtà virtuale: Segnale d’allarme – La mia Battaglia VR, recentemente riproposto all’Argot Studio di Roma.

Tratto dall’opera teatrale La mia Battaglia, di Elio Germano e Chiara Lagani, la stessa diventa un film in realtà virtuale, diretto e interpretato dallo stesso Germano e diretto da Omar Rashid per la VR, in cui l’attore parla alla e della nostra epoca. A spettatori che indossano cuffie e visori e che sono seduti accanto agli spettatori dell’opera dal vivo e, soprattutto, senza la presenza fisica dell’attore stesso. Teatro e cinema si fondono e lo fanno attraverso la tecnologia digitale della Virtual Reality con il pubblico della nuova prima romana che si è rivelato eterogeneo per età ed esperienza di VR, ma che è sembrato – e questo è un dato di cui tenere conto – anche subito a suo agio nel sedersi in attesa davanti ad un palco che era e sarebbe rimasto vuoto. Per l’intera durata dello spettacolo.

Un breve briefing da parte dei team del Teatro ospite, e poi si sono accesi i visori dei presenti, immergendoli nell’opera teatrale, mescolandoli agli spettatori dell’opera dal vivo, e così facendo, ospitandoli in sala per assistere al monologo diventandone parte. Il vicino di sedia non è quello che indossa il visore, ma quello che aveva assistito allo spettacolo dal vivo. Eppure lo spettatore col visore è seduto in un teatro, non c’è dubbio, sente la poltrona sotto di sé, si percepisce come seduto nella poltrona, sente la presenza, il respiro diremmo, degli altri che hanno acquistato il suo stesso biglietto. E si gode lo spettacolo. Dove ancora una volta ha contato il testo. E l’interpretazione.

Straniamento. Anzi no. Spavento

l monologo di Germano simula un comizio e in un crescendo di toni e sapiente mimica riesce nel suo intento di rappresentare gli inganni possibili nella formazione del consenso e indagare il senso dei concetti di libertà e libero arbitrio. Il pubblico – quello vero e quello che i visori ripropongono come presente – dapprima è d’accordo con la rappresentazione fatta dall’uomo sul palco, vi aderisce anzi con convinzione e solo alla fine, quando i toni salgono, e le allusioni grottesche rivelano l’arcano – che qui non si vuole spoilerare, naturalmente – comprende. E, probabilmente, speriamo, si spaventa.

Il “segnale d’allarme” di Germano mette in guardia contro una informazione fatta solo di superficialità e opinioni, contro il populismo, contro l’adesione ad opinioni preconfezionate – per pigrizia, per indifferenza, per omologazione amplificata dall’uso delle tecnologie, dei social network – contro la cultura di massa, e rivendicando piuttosto la bellezza del piccolo, del diverso, esortando allo sforzo di esercitazione del pensiero critico. Senza dirlo. Ci arriva il pubblico, quando comprende.

Il paradosso dello spettacolo “dal vivo”, ma in “realtà virtuale”, è funzionale a mostrare il (anzi a far fare esperienza del) labile confine tra reale e virtuale in cui tutti noi siamo quotidianamente immersi, ci esorta a prenderne consapevolezza, come d’altronde da più parti si sta facendo nei confronti della tecnologia immersiva e sempre più totalizzante con cui abbiamo a che fare. L’interpretazione, si diceva. Sì, perché, comunque, stiamo parlando sempre di teatro e della forma forse più difficile: il monologo. Qui Germano davvero non si risparmia, fa ridere, fa pensare, interagisce con gli spettatori, li interroga e coinvolge. Si spende molto anche fisicamente, va avanti e indietro in sala, e su e giù sulla scaletta che conduce al palco (quello reale? o quello virtuale?), è necessario girare continuamente la testa per seguirlo, e applaudirlo, noi insieme agli spettatori reali (o virtuali?? Loro erano li, ma ora sono nei visori… quelli reali sono gli spettatori seduti sulle sedie dell’Argot. O No? Quanto altera la realtà la tecnologia e quanto ne abbiamo coscienza?), fa molte pause per bere e poi ricomincia, incalza il suo pubblico. Nel visore lo vedi vicino, molto vicino, sei in prima fila, tutti gli spettatori con i visori sono anzi seduti in prima fila. Gli spettatori ci sono, ma non ci sono. Non è quello in sala il pubblico di Elio Germano nello spettacolo “Segnale d’allarme | La mia battaglia VR”. Oppure sì?

Metateatro, metacinema, in un momento storico in cui “meta” assume contorni, forse, da mettere a fuoco con attenzione, di cui occuparci seriamente, su cui restare vigili.

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