Fluttuante in un cielo di parole. Potrebbe essere felicemente delineata con questa espressione la pièce dell’autrice e regista Lucia Calamaro. La Solitudine Sociale è sviscerata e impressa in questa commedia squisita, altresì ammorbidita da un esemplare lavoro di messa in scena.
Silvio è un uomo che si è autoinflitto una profonda solitudine, a dieci anni dalla morta della moglie e da tre vive in totale isolamento nella casa di campagna, nelle prossimità di un villaggio di poche anime. Il fratello e i tre figli irrompono nella perfetta monotonia della sua quotidianità, per commemorare il decennale per la scomparsa della madre. La solitudine di Silvio ha generato un profondo distacco dalle premure del mondo, facendogli sviluppare manie strambe e preoccupanti, come la voglia di stare sempre seduto e osservare la vita che scorre in una posizione privilegiata e per lui sacrosanta.
Silvio è un personaggio che suscita immediatamente simpatia, gradevolezza e la sua spiccata dialettica mette il pubblico a proprio agio sin dalle primissime battute. La freschezza dello spettacolo cresce anche grazie ai raffinatissimi segmenti di metateatro; complice un incredibile Silvio Orlando, il quale indossa le vesti del proprio personaggio con il consueto stile e uno straordinario controllo tecnico. Le figure che sciamano sulla scena arricchiscono il mondo di Silvio e lo smuovono dalla propria monotonia, o almeno è ciò che provano a fare; anch’essi rinchiusi in frenesie e comportamenti portati quasi allo stremo, al limite del patologico. Questa meravigliosa e inquietante deriva da parte dei parenti fanno apparire Silvio come la persona più misurata e normale della famiglia. Lui li osserva, li mal tollera, si dimostra sfuggevole e sfrontato, incapace persino di lasciarsi andare a gesti affettivi. Alla fine chi soffre maggiormente è lui, incatenato in un tedium vitae che non lascia scampo. La filosofia della solitudine e dell’attesa in principio divertono, ma come ci si aspetta nasconde in sé un dramma profondo e oscuro, rivestito da strati e strati di affilata e pesante ironia. Questo sentimento patito quasi in gran segreto emerge episodicamente nella contemplazione della memoria.
Infine la scena di Roberto Crea si interseca con armonia alle luci di Umile Vainieri. I colori candidi e delicati mutano soavi in un gioco cromatico di assoluta bellezza. Il lilla, la lavanda, l’azzurro, dominano tutta la scena, filtrando all’interno di ampi finestroni, creando così un invisibile soffio dal quale gli attori possono attingere.
Si nota all’imbrunire è l’ennesima vittoria del Teatro Quirino, il quale lo incasella con enorme merito nella propria stagione 19/20, dal 21 gennaio al 2 febbraio. Un testo multiforme e concepito con astuta leggerezza, portato sulla scena da un gruppo di attori di indiscusso talento. Lo spettatore si troverà in presenza di uno specchio riflettente l’aspra tangibilità della solitudine, in uno scenario di pura, poetica e volubile umanità.
SI NOTA ALL’IMBRUNIRE
(solitudine da paese spopolato)
di Lucia Calamaro
regia Lucia Calamaro
con Silvio Orlando
e con (in o. a.) Vincenzo Nemolato, Roberto Nobile
Alice Redini, Maria Laura Rondanini
scene Roberto Crea
costumi Ornella e Marina Campanale
luci Umile Vainieri
produzione Cardellino srl
in coproduzione con Teatro Stabile dell’Umbria
in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia