È un rapporto di tensione quello che lega l’uomo alla realtà circostante, a partire dal primitivo contatto con la Natura, sempre sfidata e a tratti avversata dall’animo umano. Ma è proprio questa tensione, questo innato impulso di dominare la realtà, che ha spinto negli anni l’uomo a rendere giustizia a quel soffio vitale che lo distingue da tutto il resto, portandolo a svelare gli enigmi che lo circondano, e nel capirli, capire sé stesso. E in questo percorso l’uomo è sempre stato spinto, o forse ha sempre inseguito la tecnologia, intesa nella sua accezione più pura come un insieme di tecniche pratiche volto alla risoluzione dei problemi più complessi. Quello con la tecnologia è il frutto di una simbiosi che, seppur in continua evoluzione, risale agli albori della nostra storia, quando, per la prima volta, un uomo apprese a manipolare il fuoco o a costruire strumenti rudimentali. E allora l’uomo primitivo che inizia a scalfire le pietre, che utilizza le ossa per cacciare, non sta semplicemente rispondendo al primordiale istinto di sopravvivenza, ma sta tentando di piegare l’ambiente a suo favore, di modellarlo a propria immagine e somiglianza, così come più tardi avrebbe fatto con le macchine. Con l’arrivo delle grandi civiltà la tecnologia segue lo sviluppo umano, passando da fondamentale fucina per quanto necessario in termini di sopravvivenza, a mezzo di espressione della cultura e dunque dell’organizzazione sociale; basti volgere lo sguardo in Mesopotamia e rendersi conto di come la scrittura cuneiforme o la ruota divennero momenti cruciali nella gestione delle risorse e nel miglioramento della vita quotidiana. Ma già nell’antichità, la tecnologia assumeva un valore che andava oltre la semplice funzionalità: era la manifestazione della capacità dell’uomo di pensare e di creare. Le piramidi d’Egitto, le macchine di Archimede, il teatro greco, sono tutte testimonianze di una tecnologia che non solo rispondeva a bisogni pratici, ma che cercava anche di esprimere una visione del mondo. Il Rinascimento segna una nuova epoca nella storia del rapporto tra uomo e tecnologia. Qui, l’uomo non è più solo un artigiano del mondo fisico, ma un progettista, un architetto del proprio destino. La figura di Leonardo da Vinci incarna questa fusione tra arte e scienza, tra creatività e tecnica. Le sue invenzioni non sono solo strumenti funzionali, ma manifestazioni del suo spirito inquieto, alla ricerca di una comprensione profonda e universale. Leonardo vedeva nella macchina una sorta di estensione del corpo umano, un altro modo per raggiungere la perfezione. Ma la sua visione della tecnologia non era mai priva di una certa inquietudine. La macchina, per quanto sublime, non era mai un semplice mezzo, ma un riflesso delle potenzialità infinite dell’uomo, e, al contempo, della sua fragilità. Un aspetto fondamentale che si è palesato nel corso del Rinascimento, è forse un primo approccio di consapevolezza verso la tecnologia, circa un interrogativo che non guarda tanto a dove si possa arrivare con essa, ma come la tecnologia possa trasformare l’uomo. Su questa via allora l’uomo prende contezza del fatto che la tecnologia non cambia solo il mondo, ma anche la percezione che l’essere umano ha di sé. Arriva poi la rivoluzione industriale e quel crinale sempre più labile che intercorre tra uomo e tecnologia: quest’ultima cessa di essere mezzo e si sottrae al controllo dell’uomo stesso. Marx, con la sua teoria del lavoro alienato, evidenzia come l’introduzione della macchina non solo impoverisca la creatività dell’individuo, ma lo separi dalla sua essenza più profonda, quella della capacità di dare forma al mondo attraverso il lavoro. Inutile poi rimarcare come il Novecento e, da ultimo, il XXI secolo abbiano cambiato le regole del gioco. Uno stravolgimento se si riguarda a quell’esperienza primitiva di tecnologia letta in termini di sopravvivenza, essendo ad oggi la vita umana, forse, un po’ meno umana. La quotidianità è permeata dalla tecnologia, senza però tener conto di quell’approccio diretto con la realtà che mai potrà essere sostituito neppur dalla più eclatante rivoluzione tecnologica. È forse a questo punto auspicabile e quasi doveroso, rivolgere un pensiero a quanti nel corso dei secoli abbiano guardato con un approccio cinico e certo più cauto a quanto allontana l’uomo dalla natura. Chiudiamo allora con un rimando a Platone, che descriveva l’invenzione come un atto di conoscenza che distoglieva l’uomo dalla sua vera essenza, quella dell’anima immortale, facendolo immergere sempre più nella materia.
L’uomo e la tecnologia: una corsa contro sé stessi
