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Elogio della falena: la bellezza che non ci rappresenta

Se non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace. Ma vi assicuro: essere belli non è bello. Scioglilingua a parte, la bellezza – quella vera, canonica, imperturbabile – è una gabbia dorata con tutte le sbarre placcate al loro posto. Un lavoro di performance non richiesto, ma obbligatorio. Non sono ammessi errori. Bisogna essere belli, sempre, e bene. Sta lì, tra il promemoria che non sei abbastanza e un dilemma esistenziale shakespeariano – teschio escluso.

Sfido chiunque a voler essere una farfalla in un mondo che le farfalle le imbalsama per guardarle meglio. Se l’alternativa è essere una falena – libera, anonima, selvaggia – aspetterei a rispondere. Ecco la verità: la bellezza è una dittatura. La bellezza ti dà accesso a tutto, ma ti toglie il diritto di parola. Sei un corpo e non un pensiero. Funziona così per la televisione, ospita veline bellissime, uomini possenti, ma non lascia spazio a chi appartiene alla zona grigia. Quella in cui dovrebbe finire tutta la bellezza per essere un po’ disordinata e insignificante quanto una falena

E che non ci scappi che sui grandi schermi finisca un naso irregolare o una pancia non asciutta come un rigatone di pasta appena scolato. Che orrore! “Non ci rappresenta!” e subito a puntare il dito. Magari ci rappresenta nella misura in cui vogliamo essere farfalle da esposizione.

Poi, c’è la questione capitalismo. La bellezza crea bisogni che non esistono. Creme per dimagrire che dimagriscono ben poco, sieri miracolosi che miracolano solo i bilanci delle multinazionali, trattamenti che promettono l’eternità, ma di eterno hanno solo l’abbonamento. Il corpo da tempio è diventato scaffale: si allestisce, si aggiorna, si vende. E se un po’ di cura per sè non guasta, l’eccesso di zelo è solo canone -quello estetico – per sfuggire alla paura della zona grigia. 

Ma il vero cortocircuito è culturale. La bellezza è un business che ha bisogno di una sola cosa per prosperare: il nostro disagio. E infatti prospera benissimo. Ci raccontano che la bellezza è tutto ciò di cui abbiamo bisogno. E invece è un prestito a vita, un patto col diavolo. È un ascensore sociale che funziona solo in salita e se entri vestito bene. Altrimenti passi per la porta del retro ed esci di scena così come sei entrato. Altro che espressione individuale: la bellezza, così come la gustiamo, chi più da lontano, chi più da vicino, è l’ennesimo modo per non essere.

Per questo, nel dubbio, meglio essere falene. Magari scopriremmo che lì, nell’ombra, si respira meglio.

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