C’è un fenomeno che sta imperversando nello stile di molti e sui social di tutti: la smodata ricerca dei Labubu. Un nome noto perlomeno ai più attenti sui social, posto che questa nuova moda si è imposta con la prepotenza tipica del fenomeno virale. I Labubu sono piccoli pupazzi ricreativi del mondo The Monster, ordinariamente portachiavi, ma ormai sviluppati di ogni dimensione. Lo stile è inconfondibile: lo sguardo furbo e controverso, i dentini aguzzi, le lunghe orecchie dritte da coniglio, manine e piedini rosa in vinile. Una commistione instagrammabile tra il folklore orientale e l’atmosfera fiabesca occidentale. Il principio di un successo tanto irruento si rinviene nel recentissimo 2024, grazie a Lisa, membro del gruppo k-pop Blackpink e attrice dell’ultima stagione di The White Lotus.
La cantante ha infatti iniziato a condividere con i propri followers la passione per questi animaletti, intrattenendo il pubblico dei social con curiosi unboxing ed una contagiosa ossessione. Tutto ciò è stato solo la miccia, il fenomeno imitativo delle masse incontrollate ha fatto il resto; basti pensare che ad oggi Pop Mart, società cinese che si occupa delle cosiddette “blind box”, ha superato per valore di mercato colossi quali Mattel e Sanrio, case madre di Barbie ed Hello Kitty.
Un guadagno di circa 640 milioni di dollari nella prima metà del 2024, chiudendo poi l’anno a 1,8 miliardi. Bastino questi dati per tastare la portata di questo nuovo fenomeno che ha interessato l’intero globo, travalicando ampiamente i confini cinesi ed esplicandosi in 500 punti vendita sparsi in tutto il mondo. L’Italia non fa certo eccezione e Milano è sede dell’unico punto vendita dello stivale, teatro di avvilenti file chilometriche nella speranza di accaparrare un Labubu, nei pochi e fortunati giorni in cui vengono annunciati i restock. Anche qui risiede la ragione del grandissimo successo: una strategia marketing che non ha ceduto alla quantità, ma ha saputo creare un bisogno sfruttando il mezzo di controllo delle masse, per poi centellinare l’antidoto alla irrefrenabile paura della fear of missing out.
Si spiegano così gli appostamenti fuori dai punti vendita, il mercato parallelo che accoglie cifre da capogiro, e la caccia al più nuovo o raro modello, che non si risolve nel mero collezionismo, ma è ormai elemento identificativo dello status. Moda e collezionismo sono fenomeni che hanno sempre fatto parlare di sé, e forse è in questa chiave di lettura che andrebbero presi i nuovi viralissimi pupazzetti, senza indagare eccessivamente sulla portata di questa tendenza. Spaventoso e sconfortante potrebbe essere il risultato di un simile approfondimento: un’introspezione nel tessuto social(e) che rivelerebbe null’altro che automi, annientamento di giudizio critico ed incapacità di prendere le distanze dal trend del momento, sorretti dal bisogno di confondersi nella mischia, senza la quale si sarebbe costretti a fare i conti con sé stessi.
Labubu: la moda al tempo dei social
