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Scandalo Paragon-Italia: anche Roberto D’Agostino tra gli spiati

Dopo lo scandalo Paragon scoppiato a inizio anno, spuntano nuove intercettazioni illegittime. Roberto D’Agostino, fondatore e direttore di Dagospia, è finito al centro della nuova Watergate occidentale. Secondo quanto emerso dalle indagini della Procura di Roma e Napoli, il suo telefono sarebbe stato spiato per cinque mesi da Graphite, lo spyware israeliano usato in maniera illegittima dall’intelligence italiana.

Il dispositivo è stato oggetto di accertamenti tecnici che hanno rivelato ulteriori pieghe in quello che sembrerebbe essere uno dei più gravi casi di sorveglianza illegittima emersi in Italia. Insieme al cellulare di D’Agostino, sembrerebbero essere stati compromessi altri sette cellulari, tra cui quelli di un avvocato di Amnesty International e un ex parlamentare.

Il COPASIR(organo di controllo sui servizi segreti) aveva sollevato dei dubbi circa la trasparenza e la legalità dell’utilizzo del software dopo la decisione del governo italiano di interrompere a giugno 2025 il contratto con la società israeliana produttrice.

Anche il Parlamento ha aperto un’inchiesta conoscitiva. Alcuni funzionari del DIS sono ora sotto indagine per abuso d’ufficio, accesso abusivo a sistemi informatici e intercettazioni illegali. Gli accertamenti del caso procedono però ancora contro ignoti.

Cos’è la Paragon Solution?

La Paragon Solution, azienda israeliana produttrice dello spyware Graphite è una società fondata da ex agenti del Mossad e specializzata in strumenti di sorveglianza informatica.

Tra il 2023 e il 2024 il governo Meloni ha acconsentito che il Dipartimento di informazioni per la sicurezza (DIS) firmasse un contratto di collaborazione con la Paragon per utilizzare Graphite, il loro spyware di punta, per combattere terrorismo, crimine organizzato, disinformazione estera. Tuttavia l’utilizzo sarebbe uscito fuori dai binari legali.

Dopo gli ulteriori sviluppi del caso la Paragon ha rimandato al mittente le spiegazioni. Secondo l’azienda i rapporti sarebbero andati oltre i termini contrattuali e ha perciò invitato a rivolgersi direttamente al governo italiano.

La questione della sovranità digitale

Quello che lo scandalo Paragon-Italia ha generato è un dibattito più ampio circa il bilanciamento tra sicurezza nazionale e libertà di stampa e circa la questione della sovranità digitale. Dove finisce la difesa dello Stato, e dove incomincia l’abuso di potere?

Il fatto che il governo italiano abbia deciso di stipulare accordi sulla cybersecurity con una società esterna non solo porta a galla diverse domande, ma accresce la necessità che i cittadini siano informati a riguardo. Ad essere stati presi di mira, infatti, non sono stati gruppi terroristici da monitorare, ma giornalisti, civili al servizio dell’opinione pubblica. Questo evidenzia quale è la reale architettura democratica del nostro Paese.

La libertà di stampa, già minacciata da polarizzazione e discredito, oggi deve difendersi anche da intrusioni invisibili, sofisticate, “autorizzate”. Quando chi osserva il potere diventa il sorvegliato, il rischio è enorme.

E poi c’è un tema ancora più profondo: la sovranità digitale. L’Italia — come gran parte dell’Europa — continua ad appaltare i suoi strumenti di sicurezza informatica a società straniere. In un mondo in cui la guerra è una realtà più che mai, integrare nei propri meccanismi di sicurezza interna spyware comprati da un altro Paese con un’agenda geopolitica propria, implica un fatto: non si sta solo acquistando un prodotto, ma si sta cedendo un pezzo della propria autonomia.

La domanda non riguarda solo i servizi segreti. Riguarda noi. Si tratta di un campanello di allarme sulla sovranità digitale italiana e il caso Paragon, con i suoi ultimi risvolti, l’ennesimo esempio di come l’Italia abbia perso credibilità internazionale in materia di sicurezza dei dati e affidabilità cyber.

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