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Ennio Flaiano

“L’uomo è un animale pensante, e quando pensa non può essere che in alto. È questa la mia fede. Forse l’unica. Ma mi basta per seguire ancora con curiosità lo spettacolo del mondo” (E. Flaiano).

Dissacrante e ironico, lo scrittore, sceneggiatore, giornalista, umorista, critico cinematografico e drammaturgo, Ennio Flaiano, ha raccontato l’Italia e gli italiani come una miscela di piccoli popoli peninsulari ingegnosi, furbi e fin troppo disincantati del secondo dopoguerra. Con una penna tagliente e sferzata, ha promosso la fede nella parola anch’essa percepita come una farsa, una commedia, una tragedia, custode di molteplici verità.  Figlio delle terre d’Abruzzo, arriverà a Roma nel 1922, viaggiando su di un treno affollato di fascisti pronti e intenti a marciare su Roma. Sembrava che questo evento così particolarmente significativo, fosse stato confezionato da un mittente anonimo affinché venisse spacchettato e trasformato in una successione sfrontata di frasi ironiche dal nostro destabilizzante scrittore. Per una serie di caratteristiche intrinseche, Flaiano riteneva che il fascismo, racchiudendo le loro aspirazioni e confortando la loro inferiorità, potesse convenire agli italiani: “Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui […] Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuol essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri”. Come un marziano segretamente atterrato tra i vicoli romani, Flaiano osservava, camuffato, la capitale prelevandone la gestualità irriverente e l’umorismo graffiante. Mentre rincorreva i pettegolezzi e i chiacchiericci dei grandi salotti alla moda, delle trattorie e dei caffè letterati romani, presero vita nella sua mente i noti e fedeli avventori del Re della Mezza Porzione poi riprodotti nell’opera cinematografica C’eravamo tanto amati realizzata del regista e sceneggiatore italiano Ettore Scola. Ricordi, memorie e testimonianze accompagneranno lo scrittore tra gli orrori della guerra d’Etiopia alla quale partecipò, in veste di sottotenente dell’Arma del Genio, tra l’ottobre del 1935 e il maggio del 1936.

Attingendo dalle pagine del suo diario di guerra, costruì quel personaggio resosi colpevole dell’omicidio di una giovane etiope, e alla continua ricerca di espiazione, protagonista del romanzo intitolato Tempo di Uccidere, poi pubblicato nel 1947.

Con una sintesi verbale, Flaiano ha voluto denunciare le sanguinose stragi perpetrate sugli abissini e le drammatiche aberrazioni del colonialismo italiano descrivendo con una prosa minimalista i traffici illeciti di ufficiali arricchiti, e le loro dolorose violenze commesse contro le donne indigene. “l’Africa è lo sgabuzzino delle porcherie, ci si va a sgranchirsi la coscienza” (id.)

Provenendo dalle galassie di stralunata ironia, era riuscito a racchiudere in una concentrata sequenza di immagini, in una singola parola, in una sola frase e in un unico racconto, l’ambivalenza del nostro mondo popolato da perversi meccanismi. “La parola serve a nascondere il pensiero, il pensiero a nascondere la verità. E la verità fulmina chi osa guardarla in faccia”

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