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Knira e Neirud, due capolavori dall’IILA

Mettetevi seduti su una poltrona di pelle rossa. Quelle del cinema che hanno l’odore della pellicola, di pop corn e del brivido della proiezione. Lì in una sala dello storico cinema Barberini di Roma si è tenuta la proiezione dei due film vincitori della quinta edizione del premio IILA. Due lungometraggi diversi, ma accumunati dall’esigenza di favorire il dialogo interculturale attraverso il linguaggio universale del cinema. 

Kinra – Terra d’origine

Per la categoria Lungometraggi di finzione, si posiziona al primo posto Kinra di Marco Panatonic (Perù, 2023), una scoperta dell’intimo legame tra l’essere umano e i territori ancestrali delle Ande. 

In un carosello di immagini e riprese suggestive, la cultura andina si mescola ad attori non professionisti che restituiscono il dramma dello sradicamento culturale. Atoqcha è un giovane, come tanti, come noi. Sogna in grande, vorrebbe accedere a quel mondo di opportunità che è la vita. E a dir il vero il coraggio non gli manca. Decide di partire e cambiare città. Andare a Cusco. 

La sfida è mantenere un’identità che scricchiola sotto il peso di un Paese dove lo spagnolo domina media e istruzione e la lingua quechua – con la cultura di cui si fa carico – soccombe. La scelta di realizzare l’intero lungometraggio in questa affascinante lingua significa riappropriarsi di una storia collettiva troppo a lungo marginalizzata. Lo vediamo nei volti di altri ragazzi come lui che intraprendono lo stesso cammino, nella preoccupazione della madre che lo lascia andare ad un destino nuovo e certamente spaventoso. 

Marco Panatonic adotta uno stile essenziale, quasi documentaristico, fatto di lunghi piani sequenza, oggetti che parlano, silenzi che suggeriscono la riflessione. Ogni inquadratura sembra portare con sé la voce della terra, degli avi, delle lotte silenziose e qualche tratto della bellezza dell’ambiente andino. È un film che parla dal Perù, al Perù, all’umanità intera.

Neirud

Neirud di Fernanda Faya (Brasile, 2023), invece, si aggiudica la categoria lungometraggi documentari, portando sullo schermo il tema dell’identità di genere con uno sguardo delicato ma incisivo sul rispetto e sulla libertà personale.

Un film necessario. Un film che ci costringe a rivedere i nostri parametri di normalità attraverso un linguaggio squisitamente umano. L’omaggio poi alla comunità LGBTQIA+ attraverso un dettaglio potentissimo: il titolo. “Neirud” al contrario è “Durien”, nome d’arte di Dirce Migliaccio, figura storica della scena drag brasiliana. Un gesto di memoria e continuità con una lunga storia di lotte e visibilità queer in un Paese come il Brasile in cui il dibattito sui diritti civili è contraddittorio e sono molteplici le problematiche sociali. E’ lì che la sua opera diventa atto politico e artistico allo stesso tempo. I cinefili apprezzano!

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