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Gaza e Ucraina nel discorso del Papa al Giubileo dei Giovani

Giubileo Giovani

Sul prato di Tor Vergata, davanti a una folla oceanica venuta per il Giubileo dei Giovani, Papa Leone XIV ha pronunciato un discorso che ha avuto il merito – non scontato – di non ignorare l’elefante nella stanza: la guerra. Anzi, le guerre. Con nomi e cognomi. Gaza, Ucraina, due luoghi ormai familiari alle cronache, ma che nei discorsi ufficiali spesso spariscono dentro formule da comunicato stampa.

Non è andata così sabato pomeriggio. Il Papa ha citato espressamente le due zone di conflitto, e lo ha fatto nel momento centrale della giornata, durante l’Angelus, quando il pubblico era più attento, i microfoni più aperti, le telecamere più vigili. Nessuna denuncia roboante, nessuna invettiva. Ma nemmeno silenzi compiacenti. “Penso ai giovani che non hanno potuto essere qui – ha detto – quelli che vivono sotto le bombe, a Gaza, in Ucraina, in tante parti del mondo dove la pace è un sogno troppo lontano”.

Un passaggio che spicca

Il resto del discorso ha seguito il copione atteso: parole di speranza, inviti al dialogo, richiami al Vangelo e all’impegno personale. Ma quel passaggio ha spiccato, e non per caso. Non capita spesso che un Pontefice – tanto più uno appena eletto – si spinga fino a nominare direttamente i luoghi dei conflitti in corso. È una scelta che comporta rischi: si alza il livello dell’attenzione, si sfiorano equilibri geopolitici, si mette in gioco la neutralità diplomatica della Santa Sede.

Eppure Leone XIV lo ha fatto. Non ha indicato colpevoli, non ha dato giudizi. Ma ha elencato i dolori. Ha ricordato che c’è chi vive sotto occupazione, chi cresce tra le sirene d’allarme e le macerie, e che questi non sono numeri, ma coetanei degli stessi giovani presenti al Giubileo. In un’epoca in cui l’indignazione è spesso selettiva, e le condanne seguono le convenienze internazionali, l’elenco secco dei drammi è sembrato quasi una provocazione. Di quelle sobrie, senza effetti speciali, ma che lasciano il segno.

Nessuna beatificazione del ruolo papale

Leone XIV non è un oratore travolgente, né un comunicatore pop. Il suo stile è essenziale, talvolta persino ruvido. Ma la scelta delle parole, in questo caso, è sembrata meno casuale del solito. Parlare di Gaza nel mezzo di un’assemblea mondiale, quando molti governi faticano a nominare la questione senza ricorrere a vaghezze, significa fare una scelta di campo. Morale, se non politica. E lo stesso vale per l’Ucraina, ormai diventata terreno scivoloso anche nei consessi più formali.

Non è questione di coraggio – il Papa non rischia sanzioni o embargo – ma di coerenza. Dopo settimane di silenzio su alcuni temi sensibili, in cui il neoeletto Leone sembrava preferire un basso profilo, queste parole segnano un’inversione o almeno una presa di posizione più netta. Non si tratta di schierarsi con una bandiera, ma di riconoscere il dolore dove c’è, senza aspettare il benestare dei tavoli diplomatici.

Il limite del simbolico

Naturalmente, si resta nel campo del simbolico. Nessuna proposta concreta, nessuna mediazione in vista, nessun passo operativo. Ma è anche vero che non era questa la sede. Il Giubileo è prima di tutto un evento ecclesiale, pensato per parlare ai giovani di fede, futuro e responsabilità. Il Papa ha cercato di tenere insieme le due dimensioni: quella liturgica e quella storica. Con qualche sforzo, e un certo equilibrio.

Non tutti, però, si sono lasciati convincere. Alcuni osservatori notano come, al di là della citazione esplicita, il Papa non abbia fornito alcuna chiave interpretativa. Nessuna parola su chi bombarda, su chi occupa, su chi blocca gli aiuti umanitari. L’impressione, per alcuni, è che si sia voluto dire il minimo indispensabile per “registrare” il tema, senza sbilanciarsi. Una forma di prudenza? Forse. O semplicemente un modo per non chiudere nessuna porta, almeno per ora.

I giovani come specchio

In ogni caso, il Papa ha usato i giovani come specchio per riflettere un mondo in frantumi. Li ha esortati a essere “costruttori di pace”, non in senso retorico ma pratico. “La pace si fa con gesti quotidiani – ha detto – con l’ascolto, con la cura, con la verità”. Parole che suonano giuste, persino ovvie, ma che rischiano di restare in superficie se non accompagnate da esempi, da scelte, da nomi.

La folla ha applaudito. Ma l’impressione è che il momento più vero sia stato proprio quello in cui il Papa ha interrotto la liturgia dell’entusiasmo e ha introdotto il linguaggio dell’inquietudine. È lì che il Giubileo ha toccato la realtà. Per pochi minuti, forse. Ma è bastato per uscire dal protocollo.

Una voce che si cerca ancora

Leone XIV è ancora nel suo periodo di assestamento. Non ha ancora mostrato una linea chiara né sul fronte dottrinale né su quello pubblico. Le sue uscite, finora, sono apparse centellinate, misurate, persino calcolate. Ma questa volta, nel parlare di Gaza e Ucraina, ha fatto un passo che non tutti si aspettavano. Forse più istintivo che strategico. Forse più umano che istituzionale.

Non è stato un gesto eclatante, né una rottura col passato. Ma è stato, almeno, un segnale. E in tempi di silenzi prudenti e di comunicati ben stirati, un segnale può valere più di un’intera enciclica.

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