Oggi ricorre l’anniversario dello Sbarco in Normandia. L’alba del 6 giugno 1944 vede l’inizio della più grande offensiva della storia, attuata dagli anglo-americani e canadesi sulle coste della Normandia nella Francia settentrionale per liberare l’Europa dall’occupazione nazista. Un inizio che segnerà anche la fine del Terzo Reich, cambiando così il corso della guerra e della storia mondiale. Nome in codice operazione Neptune, parte della più ampia operazione Overload, è stato poi ribatezzato D-Day, termine usato dagli anglosassoni per indicare il giorno nel quale comincerà un attacco o una operazione militare quando questo non è ancora stato stabilito, o quando il segreto è essenziale; da alcuni è chiamata anche «battaglia delle spiagge».
A quello che è considerato il più grande sbarco della storia militare vi parteciparono più di centocinquantamila soldati alleati (arrivando oltre i due milioni il 25 agosto, termine della battaglia) con dodicimila aerei, una flotta con oltre milleduecento navi da guerra, tra cui cinque corazzate che scortano quattromiladuecento mezzi da sbarco, ottocento navi da cargo, quasi settecento imbarcazioni di supporto e settemila navi. Hitler aveva fatto costruire il «vallo atlantico», un sistema di fortificazioni, lungo l’intero litorale francese, concentrando il Francia un quarto del suo intero esercito, costituito da sessanta divisioni. Ma ciò non impedì agli anglo-americani di sfondarlo ad Avranches dopo soli pochi giorni. Progressivamente ci fu la liberazione dei territori francesi, fino ad arrivare a liberare Parigi ad agosto, dove De Gaulle instaurò il suo governo, e il Belgio e l’Olanda a settembre.
La drammaticità di questa pagina della storia del ‘900 è resa ancora più evidente dai numeri: in settantasei giorni di combattimento ci furono 226.000 tra morti, feriti e dispersi nello schieramento alleato e duecentodiecimila tra i tedeschi (di cui altri duecentodiecimila vennero fatti prigionieri). Solamente durante il D-Day le perdite furono diecimila tra gli alleati. Alla vigilia dello sbarco il generale Eisenhower aveva detto: «Vittoria comleta… nient’altro!» ma questa vittoria fu pagata a caro prezzo, con il sangue versato non solo dei soldati ma anche di migliaia di civili.
Ben tremila soldati persero la vita solo a Omaha Beach, nome in codice dato dagli alleati ad una delle cinque spiagge dove avvennero gli sbarchi. Questa spiaggia, soprannominata presto bloody Omaha cioè insanguinata, ha una ampiezza di otto chilometri e qui ci fu il massacro dei soldati della Big Red One, la gloriosa prima divisione statunitense, e dei fanti della ventinovesima divisione, riunite sotto il comando del generale Leonard T. Gerow nel V Corpo d’Armata. I fanti furono decimati ancora prima di toccare la sabbia perché a ridosso della costa erano piazzate le batterie di cannoni tedesche. Quelli che riuscirono ad attraversare la spiaggia indenni avevano nell’80% delle armi e delle munizioni inutilizzabili per via della sabbia e dell’acqua nonostante le custodie stagne e il tentativo di proteggere le canne dei fucili con i preservativi. Quando finalmente si riunirono, iniziarono la marcia verso le zone interne al grido di «shot the bastards», spara ai bastardi. Alla sera gli Alleati erano riusciti a penetrare nell’interno per soli due chilometri.
Sulle altre spiagge le cose non andarono meglio. Erwin Rommel aveva intuito che la guerra si sarebbe vinta o persa sulla spiaggia. Hitler, non potendo più ignorare la minaccia di una invasione della Francia, l’aveva nominato prima ispettore della difesa costiera e poi, nel gennaio del 1944, comandante del Gruppo di Armate B, le forze di terra incaricate di difendere la Francia settentrionale. Durante uno dei quotidiani giri di ispezione al Vallo Atlantico aveva detto al suo aiutante di campo «Abbiamo una sola possibilità di fermare il nemico: quando sarà in acqua e cercherà di mettere piede a terra. I rinforzi non arriveranno mai sul posto dell’attacco, sarebbe follia pensarlo. La linea di difesa sarà qui, sulla costa. Mi creda, Lang, le prime ventiquattro ore dell’invasione saranno decisive: per gli Alleati, come per la Germania, quello sarà il giorno più lungo». E così fu.
Un giorno lungo costato la vita e le speranze di moltissimi giovani vite che più non furono. Di molti non rimasero nemmeno i corpi da piangere e seppellire. Rimane però questo impegno per la libertà, l’uguaglianza, la dignità di ogni essere umano «scritto nel sangue di queste spiagge» che durerà in eterno, come ha detto Obama in un lungo discorso al cimitero americano di Colleville-sur-mer, a picco su Omaha Beach, durante la giornata di commemorazione nel 2014, dopo essere stato al Memoriale di Caen: «Settant’anni dopo si rende omaggio ai soldati (…) che con il loro sacrificio cambiarono l’andamento di un secolo intero (…) e diedero una nuova speranza al mondo».