Un ritratto pittoresco, volutamente in stile lo-fi, del Maestro: un susseguirsi di testimonianze e notti romane che restituiscono l’anima del ‘Califfo’, in tutte le sue sfaccettature.
“Nun ve trattengo” è il titolo del documentario biografico diretto da Francesca Romana Massaro e Francesco Antonio Mondini, prodotto da Interlinea Film con il sostegno del Ministero della Cultura.
Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024, viene proiettato nelle sale dall’8 al 10 settembre 2025, con proiezioni nella capitale, culla e baluardo di Califano, dove le sue opere restano ancora vivide e significative.
Così i produttori, Jacopo Pica e Maurizio Antonini, raccontano della nascita del progetto, incluse le motivazioni che hanno spinto a credere in questo progetto culturale:
Maurizio: “Questo progetto ha una genesi lunga, mi ha incuriosito perché i materiali erano abbastanza unici. Ne è uscita fuori una persona molto più umana, sensibile, e questo mi ha convinto. Siamo partiti con le riprese anche grazie all’aiuto delle persone che lo hanno conosciuto e che hanno vissuto la sua vita.”
Jacopo:”Il documentario è venuto fuori in maniera molto naturale, rispecchia la naturalezza di Califano stesso. È sempre stato considerato più per il personaggio che per l’artista e dopo la sua morte ha avuto un boom artistico incredibile.”
Franco Califano è stato un personaggio controverso: capace di una grande carriera poetica e musicale, ma anche segnato dagli eccessi e dalle passioni che ne hanno contraddistinto la vita.
Il docufilm si apre negli studi di Radio Radicale, dove uno speaker assume il ruolo di narratore. Le sue parole si intrecciano con un flusso di immagini che accompagnano il viaggio metaforico dell’attore Lele Vannoli attraverso la città.
Accanto alle voci storiche, compaiono anche artisti della scena romana contemporanea: Franco126, Ketama126 e Noyz Narcos offrono le loro testimonianze, sottolineando l’impronta che Califano ha lasciato e l’eredità ancora viva nella loro musica di oggi.
“Nun ve trattengo” era la frase usata dal “Califfo” quando voleva restar solo dopo una serata passata in compagnia, il titolo è emblematico perché cattura la sua necessità di solitudine, ma anche la sua malinconia, elemento ricorrente del suo trascorso.
Lo stile “lo-fi” composto da ambientazioni poco illuminate, paesaggi serali, registrazioni sonore dalla qualità caratteristica di quell’epoca, affiancano un ritratto della Roma romantica di Califano.
Le critiche hanno sollevato una ricerca poco approfondita sul profilo artistico dell’artista, tralasciando trascorsi di vita privata ma dando più spazio alla sua figura umana.