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Italodisko: chi ci ascolta, cosa ascolta?

Ci siamo chiesti com’è davvero la musica italiana vista dall’estero: il rapporto SIAE, tra cliché e novità intriganti

La musica italiana all’estero è in crescita?

Partiamo da un dato: l’industria musicale è in crescita, non solo nella sua dimensione nazionale ma anche nella sua chiave riguardante l’export (che è poi quello che ci interessa di più analizzare in questa sede). Non si tratta (soltanto) dell’incredibile successo globale dei Måneskin, ma anche in termini di diritto d’autore. Dopo una flessione fisiologicamente dovuta a causa del Covid, le revenue per il diritto d’autore estero sono balzate al +7,6% rispetto all’anno scorso. La musica italiana è ascoltata e scaricata non solo in Europa e negli Stati Uniti, ma c’è, ad esempio, un sorprendente Giappone al quinto posto. Se la giovane rock band di Roma si conferma uno dei gruppi più ascoltati in Italia e nel mondo, fa effetto leggere (ancora) Paolo Conte, Riccardo Cocciante, Matia Bazar e Umberto Tozzi in questa particolare classifica, soprattutto se la condividono con Funbeat, Tropico e Dardust. La presenza del rap e della trap è forte ma non esclusiva: in effetti, fanno ancora parte della classifica dei più ascoltati tra gli autori under 35 i Pinguini Tattici Nucleari, Carl Brave, Gazzelle e Irama.

Dove si suona di più?

La musica italiana, in questo report, ci fa pensare che sia parte integrante di un fenomeno chiaramente internazionale, sia a livello artistico che produttivo e comunicativo. Il progetto Italia Music Lab (con il patrocinio della SIAE) è un perno centrale: dal 2021 sta cercando (con successo) di valorizzare la musica italiana nel mondo, per allargarsi verso nuovi orizzonti. I paesi, stando al report del 2022, dove gli artisti italiani hanno suonato di più sono stati Francia e Germania (che hanno ospitato 13 tour a testa), seguiti dal Regno Unito (a 10) e Belgio, Svizzera e Spagna. 89 sono stati in totale i progetti supportati, con un età media tra i 29 anni, purtroppo ancora molto polarizzati dal punto di vista del genere: 67% uomini e 33% donne.

Il divario percettivo

Esiste un enorme divario fra come gli italiani percepiscono la propria musica e come invece viene percepita la musica italiana all’estero (spesso non viene proprio percepita in sé, e quello è un problema). Per decenni, soprattutto dopo l’avvento delle radio libere negli anni ‘70 (divenute poi radio commerciali) e l’avvento di Mtv negli anni Novanta, il nostro Paese ha subito in maniera passiva l’aggressività dell’export musicale anglosassone, fino a maturare per molti aspetti una vera e propria esterofilia che si esprimeva nella forma di una feroce e costante autocritica alla musica prodotta nel nostro paese. Qualsiasi essa fosse. A prescindere. C’è stato un periodo in cui, se eri giovane, fare musica italiana, soprattutto cantata in italiano, era da sfigati. Molte cose sono cambiate dall’avvento di internet e degli streaming service.
I numeri parlano chiaro: messi davanti alla possibilità di scegliere, gli italiani hanno scelto di ascoltare musica di cui capissero i testi. Il digitale ha così messo in luce una nuova generazione di artisti che ha saputo rinnovare con freschezza il percepito della musica italiana all’estero, pur senza perdere quel tocco nostrano che esiste e che rende un popolo tridimensionale. La lingua italiana ha saputo ritagliarsi una dignità anche in contesti laddove prima faceva fatica, aprendosi varchi con la generazione Z e con, parte, dei millennials. Nelle loro playlist oggi è altamente probabile che troviate più musica italiana che internazionale ed è proprio in questi spazi che la musica italiana si sta facendo strada all’estero. Grazie ai giovani globetrotters la citazione “La musica italiana/Non è più musica alla moda” di calcuttiana e giorgiopoiana memoria potrebbe divenire presto soltanto un lontano ricordo.

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