Il Granducato di Lussemburgo, pur essendo uno dei più piccoli stati europei con appena 2.600 km² e una popolazione che sfiora i 700.000 abitanti, esercita un’influenza economica e finanziaria sproporzionata rispetto alle sue dimensioni. Situato nel cuore dell’Europa, è una monarchia parlamentare costituzionale guidata dal Granduca e membro fondatore dell’Unione Europea, dell’eurozona, della NATO e delle Nazioni Unite.
Il Lussemburgo ha costruito la propria prosperità su un’economia solida, altamente diversificata, che unisce tradizione industriale, acciaio e logistica essendo in mezzo al cuore d’acciaio europeo, nonché una forte specializzazione nei servizi finanziari e bancari, vero motore della sua crescita a partire dagli anni ’70.
Lussemburgo e la piazza finanziaria europea.
Oggi il Granducato ospita uno dei più grandi centri finanziari del mondo, è infatti il secondo mercato mondiale dei fondi d’investimento dopo gli Stati Uniti ed è sede di centinaia di banche internazionali nonché di fondi di investimento provenienti da oltre 25 paesi. Al livello di Istituzione europea il Lussemburgo ospita la Banca Europea degli Investimenti (BEI) e numerosi organi dell’UE. La stabilità politica, il multilinguismo, la qualità delle infrastrutture e la legislazione favorevole agli investitori hanno reso il Lussemburgo un crocevia per il capitale internazionale, sia europeo sia extraeuropeo.
Il settore finanziario contribuisce a circa il 30% del PIL nazionale e occupa una quota significativa della forza lavoro, diretta e indiretta. Questo modello ha trasformato il Lussemburgo in uno degli stati più ricchi del mondo in termini di PIL pro capite, stabilmente ai vertici delle classifiche globali.
La questione del dumping fiscale a livello europeo
Se da un lato la piazza finanziaria lussemburghese rappresenta un motore per la crescita europea, dall’altro è stata oggetto di forti critiche per la sua politica fiscale. Il Lussemburgo, infatti, ha costruito la sua centralità finanziaria anche grazie a una politica fiscale aggressiva tramite una politica di dumping fiscale.
Gli strumenti principali attraverso i quali il Lussemburgo ha esercitato una politica sleale a livello fiscale possono essere riassunti nei: i) Tax rulings accordi riservati tra autorità fiscali e multinazionali che garantiscono aliquote effettive molto basse, in alcuni casi inferiori all’1%; ii) regimi speciali per le holding: società create unicamente per detenere partecipazioni, sfruttando esenzioni e deduzioni; iii) opacità societaria: fino a tempi recenti, il segreto bancario e la mancanza di trasparenza sui beneficiari effettivi hanno facilitato il ricorso a strutture elusive; iv) ed infine, nel trasferimento degli utili (profit shifting), ovvero i profitti realizzati in altri paesi UE vengono contabilizzati in Lussemburgo, riducendo drasticamente la base imponibile negli stati dove l’attività economica si svolge realmente.
Un paradiso fiscale all’interno dell’Unione europea e pertanto anche più potenti della ben più famosa Svizzera che in questi anni spregiudicamente ha fatto ricorso al dumping fiscale, ovvero l’insieme delle pratiche con cui uno Stato attira capitale tramite un regime fiscale particolarmente vantaggioso per imprese e capitali.
Il caso “LuxLeaks”
Nel 2014 l’inchiesta giornalistica LuxLeaks, basata su documenti sottratti alla società di revisione PricewaterhouseCoopers, rivelò l’esistenza di oltre 500 tax rulings stipulati con multinazionali come Amazon, Pepsi, AIG, Deutsche Bank e Ikea. Questi accordi, legali ma politicamente controversi, consentivano alle imprese di ridurre il carico fiscale a pochi punti percentuali, trasferendo profitti da tutta Europa verso il Lussemburgo. L’impatto sulle finanze pubbliche degli altri stati membri fu enorme, in termini di gettito mancato.
Reazioni europee al dumping lussemburghese
A seguito dello scandalo LuxLeaks che ha fatto emergere il quadro di slealtà fiscale adoperata a danno degli altri Stati membri, negli ultimi anni l’Unione Europea ha intensificato gli sforzi per contrastare l’elusione fiscale e rafforzare la trasparenza finanziaria. Tra le misure introdotte in tal senso la direttiva ATAD (Anti-Tax Avoidance Directive) e la maggiore condivisione automatica delle informazioni fiscali tra gli Stati membri hanno cercato di garantire una maggiore trasparenza e coordinamento a livello di politica fiscale.
D’altronde, il Lussemburgo, sotto pressione politica e reputazionale, ha avviato in politica interna alcune riforme volte a garantire una maggiore trasparenza bancaria, adeguamento alle regole europee e un parziale riallineamento delle proprie pratiche fiscali. Tuttavia, molti osservatori ritengono che permanga un significativo margine per il dumping fiscale indiretto, soprattutto attraverso i fondi d’investimento e le holding societarie.
Il Lussemburgo rappresenta un paradosso europeo, ovvero un piccolo stato che ha saputo costruire una piazza finanziaria globale di primaria importanza, ma al prezzo di alimentare dinamiche di concorrenza fiscale sleale che hanno inciso sulle entrate pubbliche di molti paesi membri. Il futuro del Granducato dipenderà dalla sua capacità di coniugare la tutela della propria competitività finanziaria con la crescente esigenza di equità fiscale e armonizzazione all’interno dell’UE.