Site icon 2duerighe

Elezioni USA: il futuro delle guerre

Con l’arrivo di novembre, gli occhi del mondo sono puntati sulle elezioni statunitensi. In un pianeta sempre più interconnesso su vari livelli, ogni Stato subisce più o meno intensamente le ripercussioni degli sviluppi dei due principali conflitti odierni: la guerra tra Russia e Ucraina e la guerra in Medio Oriente. Quanto e come l’esito delle elezioni statunitensi potrebbe influenzare le sorti di questi due conflitti?

Il tour di Zelensky

L’ultimo viaggio negli USA del presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva l’obiettivo di promuovere il suo “piano per la vittoria”. Probabilmente il viaggio aveva anche lo scopo di sondare il possibile futuro dell’alleanza con gli Stati Uniti dopo le elezioni. Zelensky ha ottenuto un duplice risultato: da una parte ha consolidato i suoi buoni rapporti con il presidente Joe Biden e con la sua vice e candidata democratica alle prossime elezioni presidenziali Kamala Harris; dall’altra, ha disteso, almeno apparentemente, i rapporti contrastanti con l’ex presidente e candidato repubblicano Donald Trump.

Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, il Congresso degli Stati Uniti ha stanziato più di 175 miliardi di dollari di aiuti per supportare Kiev, di cui 8 miliardi sono stati annunciati da Biden durante l’ultima visita di Zelensky.

Proprio in riferimento agli aiuti statunitensi, Trump descrisse il presidente ucraino come “il più grande venditore sulla terra”. I trascorsi tra Trump e Zelensky vanno oltre. Già nel 2019, venne alla luce una telefonata nella quale l’allora presidente degli Stati Uniti chiese a Zelensky di indagare sugli affari in Ucraina di Hunter Biden, figlio di Joe, con l’intento di trovare informazioni compromettenti che potessero danneggiare la campagna elettorale del suo avversario.

Tuttavia, gli attriti con il presidente ucraino non sono limitati alla figura di Trump, ma si estendono anche all’interno del partito repubblicano. Zelensky ha definito JD Vance, esponente del partito e possibile futuro vicepresidente, “troppo radicale” e “pericoloso” per aver affermato che l’Ucraina dovrebbe cedere parte del suo territorio per terminare la guerra. Anche lo stesso Donald Trump ha lasciato intendere, prima dell’incontro con Zelensky, che l’Ucraina dovrebbe trattare, perché “non c’è un accordo che non sia migliore della situazione nella quale si trovano ora”. L’ex presidente ha anche affermato di avere buoni rapporti sia con Zelensky che con Putin e se dovesse essere rieletto la guerra finirebbe rapidamente. Dal canto suo, il presidente ucraino ha dichiarato che non crede che Trump sappia davvero come far terminare il conflitto e l’idea che il mondo sia pronto a porre fine alla guerra a spese del suo paese è inaccettabile.

Questa posizione lo avvicina molto ai democratici, provocando malumori in diversi esponenti repubblicani che sostengono che il presidente ucraino voglia interferire con le elezioni statunitensi portando voti agli avversari. Questa convinzione si è intensificata soprattutto dopo la sua visita a una fabbrica di armi nella città natale di Joe Biden, accompagnato da esponenti del partito democratico, e dopo il suo incontro con Kamala Harris. Quest’ultima, senza nominare direttamente gli avversari, ha sostenuto che alcune persone vorrebbero che l’Ucraina ceda grandi parti del suo territorio, accetti di rimanere neutrale e rinunci alle relazioni di sicurezza con le altre nazioni. Harris ha bollato queste proposte come una “resa”, definendole “pericolose e inaccettabili”.

Viste le posizioni divergenti, l’incontro tra Trump e Zelensky era incerto. Il presidente ucraino, in visita negli Stati Uniti da domenica 26 settembre, ha contattato Trump per comunicargli la necessità di un faccia a faccia solo giovedì, dopo l’incontro con il presidente Biden e la sua vice Harris.

L’incontro tra i due, il primo dal 2019, si è svolto venerdì nella Trump Tower. In totale è durato meno di un’ora, durante la quale il presidente ucraino avrebbe presentato anche al candidato repubblicano il suo “piano per la vittoria”. Dopo l’incontro, il rapporto tra i due sembrerebbe essersi disteso. Zelensky ha dichiarato di aver ricevuto da Trump la conferma che “sarà al nostro fianco” e che hanno una “visione comune” sul fatto che “la guerra va fermata e Putin non può vincerla”. Anche Trump ha commentato l’incontro dicendo che entrambi vogliono vedere la guerra finire con un giusto accordo.

Da una parte troviamo l’appoggio indiscriminato dei democratici all’Ucraina, che rifiutano solo di consentire a Kiev di usare le armi inviate per colpire direttamente in territorio russo. Dall’altra troviamo le critiche dei repubblicani con Trump convinto di poter fermare rapidamente la guerra, suscitando il timore di coloro che credono che ciò avverrà come conseguenza della fine degli aiuti statunitensi.

Da una parte c’è Zelensky che non è pronto a cedere neanche un millimetro del territorio ucraino e dall’altra c’è Putin che dopo ormai quasi tre anni di guerra non può “perdere la faccia”, ritirandosi da un conflitto così lungo e sanguinario con soltanto un pungo di mosche.

La guerra di Netanyahu

Tutt’altro peso sembrano avere le elezioni statunitensi sullo scenario mediorientale. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ripetutamente ignorato gli inviti alla de-escalation di Biden. Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre di un anno fa, Israele ha alzato sempre più il tiro. Quella che doveva essere un’operazione volta a neutralizzare Hamas e liberare i suoi ostaggi, presto è diventata una guerra che sta coinvolgendo l’intero mondo arabo e non solo. Infatti, se inizialmente l’obiettivo israeliano sembrava essere solo Gaza, presto gli attacchi hanno coinvolto anche Rafah, il consolato iraniano a Damasco, Teheran, Beirut e perfino le basi dell’Unifil (forze d’interposizione ONU al confine sud del Libano). Secondo il giornalista Bob Woodward, autore dell’inchiesta “Watergate”, Netanyahu si sarebbe guadagnato da Biden l’appellativo di “figlio di p*****a” dopo l’attacco dell’esercito israeliano a Rafah. I rapporti tra i due sembrerebbero essersi riallacciati dopo l’ultimo incontro telefonico avvenuto al termine di due mesi di silenzio, ma il primo ministro israeliano continua a ignorare qualsiasi appello per un cessate il fuoco.

La situazione non sembra essere diversa neanche per quanto riguarda Trump. Infatti, nonostante il partito repubblicano provi ad affermarsi come il maggior alleato statunitense di Israele, anche l’ex presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che il conflittocontro Hamas a Gaza deve finire presto” perché Israele sta “perdendo la guerra delle pubbliche relazioni”. Esattamente come per la guerra in Ucraina, Trump afferma che se fosse stato lui alla presidenza degli Stati Uniti il conflitto non sarebbe mai scoppiato e si concluderebbe in fretta se dovesse essere rieletto.

Intanto, mentre crescono le tensioni con l’Iran e con l’ONU, che dopo gli attacchi degli scorsi giorni ha subito uno sconfinamento dei carrarmati israeliani in una delle sue basi in Libano, Netanyahu continua dritto per la sua strada, forse forte della convinzione che Israele non verrà mai ostacolato se non a parole in quanto unico “presidio” occidentale in Medio Oriente.

Articolo a cura di Leonardo Melilli

Exit mobile version