Provare a rispondere considerando il punto di vista storico obbliga a far tappa nel periodo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, caratterizzato dalle iniziative Schwarzenbach contro “l’inforestierimento”. Anni grigi durante i quali “certe persone non hanno perso un’occasione per far sentire a noi, gli italiani, che valevamo molto meno degli altri”, scrive Massimo Lorenzi, volto noto della televisione della Svizzera romanda, nella prefazione intitolata “Senza rancore, ma senza oblio”.
Le cose migliorarono negli anni a seguire e il fuoco della xenofobia si spense (quasi) del tutto, mentre il numero di italiani in Svizzera diminuiva costantemente. Da un‘ottica politica è emerso che l’Udc – il partito predominante – si è prodigato molto per far sì che il referendum sortisse il risultato cui oggi assistiamo, emblematici i manifesti in cui si vede la Svizzera che funge da terreno, sovrastata da un grande albero ricco di frutti le cui radici sembrano succhiare con avidità la linfa elvetica.
Paradossalmente, però, Pierre Rusconi, consigliere nazionale dell’Udc Ticino afferma: “non vogliamo cacciar via nessuno. I frontalieri che lavorano in Svizzera sono i benvenuti, i limiti si applicheranno solo nel futuro”.
Bene, ma non si risparmia nel bacchettare la politica italiana aggiungendo: “In Svizzera gli immigrati sono il 24% della popolazione, in Italia sono il 6% e vi lamentate già, noi diamo servizi, ma il problema è vostro. Come sui capitali, se faceste pagare meno tasse magari ci sarebbero meno evasori”.
Su questo ultimo punto i nostri politici dovrebbero certamente riflettere e prendere seri provvedimenti, ma questo non cancellerebbe sicuramente l’ideale che si è venuto a creare nei Ticinesi, cioè che i frontalieri stiano sottraendo – come si pensava in passato – risorse e lavoro ai locali, compromettendo l’economia del cantone. Insomma: xenofobia si, ma con garbo.
di Davide Lazzini
11 febbraio 2014