Il Sudafrica denuncia l’operato di Israele ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione Onu, ritenendo che le azioni intraprese dal governo israeliano sfocino nel vero e proprio crimine di genocidio.
La questione sollevata mirava all’affermazione di misure in grado di contrastare le uccisioni di massa che sembrano non avere una fine. La presentazione sudafricana alla Corte internazionale di giustizia ha posto in luce come le 2,3 milioni di persone che vivono a Gaza sono state sottoposte costantemente ad attacchi aerei, via terra e via mare comportando la distruzione sia di vite, che di infrastrutture considerate come essenziali per la sussistenza. I bombardamenti sono costanti e i palestinesi vengono uccisi nelle loro case. Azioni che non solo conducono la popolazione di Gaza ad una vita alla soglia della sopravvivenza, ma a cui sono stati perfino negati gli aiuti umanitari sufficienti, accentuando ulteriormente il rischio di fame, morte e malattie.
Viste le considerazioni rispetto all’operato israeliano, il Sudafrica aveva già precedentemente interrotto tutte le relazioni lo scorso 21 novembre, ma sollevando, all’epoca, soltanto la questione di “crimini di guerra”.
La violazione della Convenzione
La Corte internazionale di giustizia, con sede all’Aia, in Olanda, ha riconosciuto il crimine di genocidio, sentenziando l’inadeguatezza delle azioni d’Israele con un dossier di 84 pagine. Manovre che non rispettano il principio cardine, ovvero quello di “salvare l’umanità”, un dogma fondamentale, istituito nel 1948 da oltre 150 paesi e riscontrabile nella “Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide” e che comporta la necessità di un intervento incisivo da parte delle autorità internazionali per poter raggiungere il fine per eccellenza: la pace.
Un grande sostegno al Sudafrica: paesi musulmani e arabi uniti nella causa
La denuncia presentata dal Sudafrica all’Aia rispetto alle azioni di Israele, associabili ad un genocidio, vedono il sostegno compatto di paesi e organizzazioni musulmani e arabi.
L’Organizzazione per la cooperazione islamica, che vede 56 Stati a maggioranza musulmana, ha appoggiato la supposizione sudafricana, ponendo in luce come le azioni su Gaza siano “collettivamente un crimine di genocidio”. Vi è stato l’intervento della Lega Araba con il contributo di Ahmed Aboul Gheit, ex Ministro degli Esteri egiziano, secondo cui si deve raggiungere una sentenza giusta, che possa fermare questo incessante spargimento di sangue. Hanno contribuito a tale processo anche singoli paesi arabi come Iraq, Libia, Libano e Giordania, dove l’intervento del Ministro degli Esteri giordano, Ayman Safadi, evidenzia come lo stesso blocco israeliano degli aiuti umanitari, attuato da Netanyahu, sia una totale violazione del diritto internazionale, sostenendo la cosiddetta “politica della fame”.
All’interno di questo scenario un ruolo rilevante è proprio dell’Egitto, che detiene un ruolo di mediatore nella regione e che, proprio per questo, ha preferito non affermare in maniera esplicita la propria posizione, nonostante gli sia stato chiesto esplicitamente, alla vigilia dell’udienza sudafricana, di prendere parte davanti alla Corte di giustizia.
Pertanto anche paesi come Marocco, Emirati e Arabia Saudita non si sono schierati in maniera netta, principalmente per motivazioni e interessi prettamente nazionali; d’altronde si tratta di Paesi che avevano già avviato in precedenza politiche di normalizzazione con Tel Aviv prima dello scoppio del conflitto.
La reazione di Israele: Netanyahu non viene scalfito dalle accuse

Nonostante il rimprovero del Sudafrica, sostenuto anche da diversi paesi del mondo musulmano e arabo, Netanyahu afferma che: “Nessuno ci fermerà, né l’Aia, né l’Asse del Male. Chiudere il confine tra Egitto e Gaza”. Con queste parole il Premier israeliano evidenzia come nessun tipo di azione o denuncia possa erodere il suo operato contro Hamas, per cui l’Onu viene definita come una semplice “macchia sulla nostra comunità”.