Terra infinita, oceano di orizzonti, lande senza confine spazzate dal vento ininterrotto. Esiste un altro Ovest, un Far West che non parla la lingua erede di Albione. È il cuore della terra, pulsante e magmatico centro della massa asiatica, lo Xiinjiang. Heartland e scacchiere delle dottrine geopolitiche d’inizio 900’, lo Xinjiang è letteralmente la nuova frontiera, l’altro Ovest, la porta che conduce dalla steppa al celeste impero cinese.
Il vento che fluisce selvaggio sui grandi spazi dello Xiinjiang sussurra nomi di conquistatori nomadi, fulminei dominatori a cavallo di indomabili destrieri della steppa, dove la terra si congiunge infinitamente al Cielo, e Urano si stringe con Gea in un languido abbraccio infinito. La forza tellurica allora diviene simile alla forza degli Oceani, lande ondeggiano come la spuma del mare, ma dalle sue acque non sorge Venere ma la brutale vitalità dei popoli uralo-altaici.
Terra di confine, di commerci e rotte carovaniere, lo Xiinjiang è anche passaggio per invenzioni, divinità ed eserciti. Già dal VII sec. la dinastia cinese Tang estende i suoi disegni di gloria sulla “Nuova Frontiera” fronteggiando le popolazioni nomadiche pronte a calare verso Est, come dimostreranno i mongoli di Kubilai Khan. Sarà infine la dinastia Qing ad imporre il controllo politico del celeste impero, integrando nel vasto quadro multietnico della Cina imperiale la popolazione uigura, gruppo etnico discendente delle tribù turcofone e di religione islamica dell’area. Dopo la fine della guerra civile con la vittoria delle forze comuniste nel 1949, la regione continuerà a rimanere sotto il controllo cinese e nel 1955 riceverà lo statuto di regione autonoma.
Come sottolinea il libro edito da Anteo Edizioni, Xinjiang: storia e sviluppo, ancora oggi tale ampio territorio mantiene un ruolo fondamentale per il futuro dell’economia cinese. Mantenendo il suo carattere di perno del collegamento con l’Eurasia, ripercorrendo gli antichi fasti della via della seta e delle rotte carovaniere, la “Nuova frontiera” cinese è attraversata da tre corridoi economici fondamentali, il New Eurasian Land Bridge Economic Corridor che connette i centri costieri cinesi orientali ai mercati dell’Europa settentrionale, il China Central West Asia Economic Corridor, che partendo dalla capitale della Regione autonoma, Urumqi, tocca il Medio Oriente e giunge al Pireo, infine il China Pakistan Economic Corridor che connette la città di Kashgar con il Mar Arabico.

La regione dello Xinjiang ha conosciuto un forte sviluppo economico divenendo non solo uno storico centro di produzione del cotone, tanto da coprire la quota dell’85% dell’intera catena del valore cinese e il 20% di quella mondiale, ma anche un riferimento strategico nella tecnologia green, in particolare nel settore dei pannelli fotovoltaici.
Il ruolo dello Xinjang è emerso nuovamente con forza sulle cronache globali per due temi fondamentali. Da un lato il suo ruolo cruciale nel progetto infrastrutturale lanciato da Pechino: la Belt and Road Initiative . Lo Xinjiang diventerà infatti un fulcro decisivo per il successo del progetto voluto da Xi Jinping e dalla classe dirigente del Partico Comunista cinese. Dall’altra parte la complessa questione dei campi di lavoro uiguri, divenuti centro di un’aspra diatriba internazionale sulle condizioni della popolazione turcofona.
Pechino ha sempre negato con forza le accuse di perpetrare violenze contro la popolazione uigura, bollando come fake news le pesanti insinuazioni di un vero e proprio genocidio. Il PCC ha sottolineato come la crescita numerica della popolazione uigura neghi statisticamente tale possibilità, evidenziando invece come la sempre maggiore presenza dell’etnia Han nella’area non sia dovuta ad una volontà pianificata di sostituzione ma alle nuove possibilità lavorative offerte dalla regione.
L’amministrazione americana, in particolare con l’ex sottosegretario di Stato Mike Pompeo, ha lanciato gravi accuse contro Pechino denunciando la presenza nello Xiinjiang di vere e proprie strutture detentive per uiguri. La Cina ha tenuto a sottolineare la natura di tali centri evidenziandone non la funzione coattiva ma il ruolo di formazione lavorativa-culturale ed evidenziandone l’importanza per l’obiettivo limitare forme di proselitismo fondamentalista di stampo islamico. Numerosi sono i foreign fighters uiguri che hanno scelto di partire per la Siria combattendo per Daesh o sono stati addestrati nei campi di Al-Qaida al confine tra Afghanistan e Pakistan. L’ETIM, il Partito Islamico del Turkestan, è stato inserito per tali ragioni nel 2002 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella lista delle organizzazioni terroristiche.
La crescita dell’importanza strategica dello Xiinjang è in ogni caso evidente e nei prossimi anni assumerà un ruolo internazionale crescente. Proprio la questione degli uiguri potrebbe allora divenire una nuova linea rossa di forte tensione, insieme a Taiwan, nella sfida globale tra Stati Uniti e Cina.