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La fine della cooperazione è dietro l’angolo?

Non c’è cooperazione e non si finge nemmeno più. Le organizzazioni con tante letterine – UNESCO, OMS, WTO o ONU – sono diventate architravi vuote e simboli di un fallimento più grande. A dircelo è la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’UNESCO, agenzia della cultura e del dialogo per eccellenza, martedì scorso. Il fatto che questa uscita (l’ennesima dopo il 1984 e il 2017)  non faccia più notizia è la conferma di un sistema dove si recita la grande politica mondiale della pace, della cultura e dello sviluppo, ma su un palcoscenico senza pubblico.

Calato il sipario, tolta la retorica, cosa resta? Spesso niente più che un palazzo di Versalles: un sontuoso apparato di fasti e protocolli dove si consumano balli diplomatici, trattative di cortile e giochi di potere, senza che nessuno riesca davvero a far reggere la struttura. Ed è un dato di fatto che preferiamo ignorare.

La facilità con cui un’amministrazione americana o l’altra entrano o escano dalle organizzazioni internazionali, come si disdice un abbonamento alla palestra appena scatta il mese di luglio, non ci piace. Non ci piace perché mette a nudo il nostro attaccamento a un’idea di burocrazia fatta di lungaggini decisionali, di processi infiniti, di tavoli di negoziazione che si amano per la loro solennità, non per i risultati.

Forse la scelta americana ci indigna così tanto per questo. Trump ha fatto la cosa più semplice che a noi europei non è riuscita: ha visto la falla e ha detto basta. Ora che la falla di cui parla Donald Trump (l’UNESCO anti-israeliana, pro-Palestina e promotrice della cultura woke) sia reale o gonfiata poco importa. Il punto è un altro. Magari quell’America che si ritira dall’UNESCO è un’America che ha smesso di fare da stampella a un’Europa che non sa essere se stessa. 

Critichiamo Trump per i dazi e la sua politica da oscillazione di borsa, ma non guardiamo dritto al problema. La verità è che questi organismi multilaterali non li vuole più nessuno, perché non sono più di nessuno. D’altronde se le organizzazioni internazionali appaiono oggi svuotate, è anche perché sono il riflesso di un’Europa altrettanto debole, incapace di darsi una voce sola.

Che senso ha difendere l’UNESCO o l’ONU quando il continente che le ha viste nascere non riesce nemmeno a esprimere una politica estera comune o a dotarsi di una difesa condivisa? Il problema non è solo l’uscita di Trump dall’UNESCO, ma il vuoto alla base. E l’Europa, più che una madre vigile, appare come una signora anziana che difende una collezione di cimeli, incapace di arrendersi al passo della storia.

Forse è giunto il momento di ammettere che la grande narrazione multilaterale è stata costruita più sulla speranza che sulla realtà. Continueremo ad assistere a continue uscite, a ritiri più o meno rumorosi, senza che tutto questo faccia notizia. E lo faremo finché non si metterà mano a questo deficit. Assisteremo a un’illusione di cooperazione sempre più fragile e stanca che potrà volgere solo verso una direzione: un’anarchia multipolare senza regole.

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