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Stonature di un sistema insostenibile

Accade che come da consuetudine si avvicini la stagione estiva e così i tour di pop star e cantautori vari. C’è stato il concerto di Elodie, a Napoli, Dua Lipa a Milano e se ne prospettano altrettanti nei prossimi mesi. Addirittura qualcuno ha tentato di paragonare questi ultimi due concerti, non considerando mezzi e soldi a disposizione completamente diversi. Proprio questo quello su cui si dovrebbe discutere. Non tanto sul budget, ma su cosa quel budget rappresenti, celi. Sulla sostenibilità o non sosteniblità che si nasconde dietro al sistema musicale cui recentemente è stato sferrato un duro colpo. Un altro.

È giunto il momento di discutere sul mondo della discografia e del sistema musica. Un settore che ha vissuto uno sviluppo notevole a partire dagli anni ’90, dallo sviluppo di MTV e della musica streaming. Osservare tra le pieghe di un’architrave le cui falle sono ben confezionate e vendute attraverso il sogno di X factor, della competizione di Amici, ma che non ha nulla di sostenibile in sé.

La riflessione è: quanto vale al giorno d’oggi un settore come quello degli artisti musicali, che si trascina anche quello degli attori e di tutte quelle categorie che hanno ben poco a che fare con la tecnica e la richiesta di efficienza a cui ci obbliga il mondo di oggi? Dove è la loro tutela?

Il problema è sorto dopo la polemica suscitata dal concerto di Elodie allo Stadio Maradona a Napoli. Alcuni sostengono di aver acquistato i biglietti a 10 euro tramite link sospetti. Probabilmente l’ennesima evidenza questa, di quel sistema che gonfia i numeri dei concerti, fatti passare per sold out ancora prima di essere andati sold out. Un sistema che è di nuovo uscito dai binari.

Perché non c’è novità in tutto questo. Già da decenni si parla di platee riempite artificialmente, di promozioni last minute e delle pressioni delle etichette discografiche affinché il proprio artista, il proprio “prodotto” funzioni. Un manager che assicura che si, che male c’è nel incicciottire un po’ i guadagni se poi c’è la fama e la notizia del boom di quello spettacolo musicale. Ma il male c’è eccome e sta nell’insostebilità di tale sistema.

Un sistema in cui gli artisti sono costretti ad esibirsi nello stadio, la nuova arena del gladiatore moderno con il microfono al posto della frusta. Quella la prova massima che dimostra che la casa discografica ha investito bene. E allora, per funzionare, sono costretti ad annunciare il sold out, a indebitarsi con i propri manager o le proprie case discografiche. Perché quel concerto dato per sold out, ma di fatto non esaurito, implica che i biglietti vengono svenduti. O ancora peggio, dati gratis a rappresentanti di associazioni di categoria, giornalisti, banchieri e chi ne ha più ne metta. E’ la nuova mafia discografica. E allora la domanda è dove sta la tutela per l’arte?

Il live è diventato il nuovo business core soprattutto dopo il 2020, l’anno del Covid. Dopo lo stop forzato dei concerti dovuti alla pandemia, la ripresa del settore discografico è stato frenetico, le aspettative altissime. Bisogna però distinguere il business dei concerti, dall’industria musicale. A volte “evento” e “sold out” sono due status symbol più che due semplici parole.

Tutto questo ci parla di noi, della società del successo in cui viviamo. Il fallimento, quello dai banchi di scuola, fino alla stella del pop che non ottiene il numero di spettatori adatti ad uno stadio o ad un’arena, non lo vogliamo vedere. Lo nascondiamo come si fa con l’invecchiamento, con le rughe. Però intanto ci parla dalle voci di artisti che si sono espressi in merito. Da Zampiglione a Alex Britti , che oggi si espongono proprio in nome del settore che rappresentano. Ci parla da una narrazione ufficiale che può essere messa in discussione facilmente grazie a Instagram o Tik Tok e che smaschera quell’idea di “successo lampo”, ormai più unico che raro.

La crescita della consapevolezza può sicuramente portarci a scelte più responsabili, ma anche a non trattare “i concerti a 10 euro” come una notizia estiva, ma come un fatto strutturale da monitorare. Il fatto che se ne parli è un segnale chiaro della direzione che stanno prendendo le domande circa che musica vogliamo vivere dal vivo? E soprattutto, ora che sappiamo che c’è, qual è il prezzo – economico, umano, culturale – che siamo disposti a pagare?

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