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Shrinkflation, un downsizing da urlo

Non fare mai la spesa se sei affamato. È quello che suggerisce un detto popolare cercando di consigliare al meglio il consumatore. Eppure fare la spesa non è mai stato così difficile e non serve la fame a complicare il tutto. C’è chi compra quello che gli sembra più buono, chi si fida della marca famosa. Le multinazionali lo sanno e giocano d’anticipo.

Il nuovo fenomeno che colpisce i consumatori ha un nome e si chiama Shrinkflation. Si rimpicciolisce il prodotto (subdolamente) prima di qualche millilitro o ettogrammo e poi nel giro di due anni ti ritrovi a comprare la stessa pasta, ma le porzioni sono più piccole, lo stesso shampoo, ma dura di meno. E a onor del vero il prezzo è aumentato! Il risultato è che come la giri, la giri, il potere d’acquisto del consumatore si riduce perché il prezzo rimane standard, ma le porzioni si riducono in maniera impercettibile.

La spesa piccina piccina picciò

Shrinkflation è un termine coniato recentemente nel 2009 dall’economista britannica Pippa Malmgren per descrivere un fenomeno che si è fatto strada tra gli scaffali dei supermercati da una decina di anni. A metà tra l’economia comportamentale e l’approccio psicologico la nascita di questo curioso stratagemma di marketing (se così si può chiamare) affonda le sue radici nella scoperta di come le distorsioni cognitive e comportamentali possano incidere positivamente sul profitto economico di multinazionali e produttori in generale. Ma non in termini di reputazione.

I consumatori non si accorgono subito cosa sta succedendo e quando lo fanno si sentono traditi. I settori colpiti non sono soltanto quello alimentare, ma anche prodotti per la casa e prodotti di bellezza. L’unica difesa del consumatore è una spesa intelligente fatta di consapevolezza dei cambiamenti tramite check delle etichette o il confronto dei prezzi per unità. E nel caso segnalare le pratiche ingiuste oppure cercare alternative alle grandi marche.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha iniziato a monitorare la situazione. Non è la pratica in sé ad essere scorretta “quanto la trasparenza di tale modifica nei confronti del consumatore” ha dichiarato nel 2022 , Giovanni Calabrò, già direttore generale per la tutela del consumatore e in particolare “l’assenza di un’adeguata avvertenza sull’etichetta frontale”.

La virata dell’economia mondiale

L’aumento dei costi di produzione, un po’ per il panorama geopolitico fortemente cambiato e instabile, che mette alla prova il prezzo dell’energia e della manodopera, lascia le aziende a dover affrontare dei mercati esterni sempre più competitivi e tentano così di mantenere alta la loro redditività, che altrimenti subirebbe gli effetti dell’inflazione.

Una sfida ardua che risulta un’alternativa adeguata al fronte di aumentare i prezzi e perdere un vantaggio sulla piazza economica. Il fast fashion, i fast food sono tutti elementi che hanno determinato una fascia di mercato in cui il prezzo ridotto è un fattore di maggiore vendita rispetto ai propri competitor. Perdere questo vantaggio, in un momento storico in cui l’economia, i sistemi politici e la società sono più fluidi e veloci è un grosso problema. Il torto è “piccolo” in fondo. Ai consumatori che magari, anzi molto spesso, nemmeno se ne accorgono.

Meglio dare la colpa alla crisi economica generale che cercare di ottenere una buona formazione economica finanziaria consapevole degli sprechi e del valore dei soldi. Via i volantini, il tempo di guardare alle offerte è finito. Bisogna rimettersi sui libri, c’è tanto da imparare da professori di economia e marketing che hanno costruito una nuova disciplina più materiale e meno filosofica. L’economia è utile nella vita di tutti i giorni, bisogna saperla usare. I responsabili delle multinazionali lo sanno fare, e noi?

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