Da dove nasce l’irrequietezza da startupper?
Nasce da me stesso. Sono una persona che vive di adrenalina e mi sono reso conto che negli ambienti in cui non c’è abbastanza dinamicità perdo lo spirito. È successo in diversi passaggi della mia vita. Mi piace creare, avere l’urgenza del pensare e del fare al volo e vedere cosa succede, e l’ambiente delle startup è fatto di persone così, un po’ visionarie e un po’ pazze, molto più simili a me rispetto a un ambiente più grande e più strutturato.
Quanto il tuo percorso in grandi società ti ha aiutato a strutturare il lavoro nelle startup che hai seguito?
Il mio percorso in consulenza e grandi corporate mi ha caratterizzato totalmente. Una delle cose che ho imparato a fare, per esempio, è la capacità di usare pensiero quantitativo e di mantenere un approccio strutturato. Un famoso articolo di Harvard sui processi di innovazione dice che per innovare bisogna essere piloti del caos: le startup sono per definizione entropiche, le attività sono tutte nuove e si fa fatica a incastrarle, quindi un bravo startupper è un pilota di questo disordine, uno che mette in ordine e struttura, costantemente.
Di converso invece cosa dell’esperienza in grandi aziende può essere limitativo nella fase di costruzione di una startup?
Spesso le grandi aziende sono disegnate e pensate più per controllare l’incertezza piuttosto che per lavorare nell’incertezza. Gerarchie, cultura ingessata, processi complessi, sono di conseguenza il risultato di questa tensione dettata dall’incertezza, con il risultato che si finisce per “controllare”, chiudere dentro dei box logici cosa fanno le persone, nel tentativo di gestire l’ingovernabile. Se applichi questa forma mentis alle startup, semplicemente ti focalizzi su cose che non aggiungono valore, non sfrutti a pieno il potenziale delle persone, e semplicemente non vai alla velocità giusta.
Da dove nasce Serenis?
Serenis è una piattaforma digitale per il benessere mentale. La componente tecnologica vuole replicare nel digitale l’esperienza che il paziente e il teraperuta hanno in un centro medico: il paziente si affida a una struttura che pensa a tutto, dalla selezione dei professionisti, passando per l’assistenza, fino al pagamento e alla sua detrazione fiscale automatica. La psicoterapia è il primo step, stiamo già studiando altri servizi funzionali al benessere mentale da integrare.
Come sei arrivato in Serenis?
Durante questi anni ho spinto tanto lavorativamente, affrontando sfide sempre più importanti nel tentativo di alzare continuamente l’asticella, inseguendo spesso il prestigio e la gratificazione economica. Ad un certo punto il mio corpo ha iniziato a darmi segnali di cedimento, sintomi fisici di stress e ansia, fino a che la mia fisioterapista mi disse “ok il corpo, ma la testa quando cominci a curarla?” Per me è stata come una doccia fredda, perchè mi sono reso conto che non stavo bene, e che mi mancava il senso di quello che stavo facendo.
Il caso ha voluto che nello stesso periodo ho conosciuto Silvia Wang, che aveva già iniziato a lavorare a Serenis, e ha avuto l’intuizione che non bastasse costruire un ottimo prodotto, ma fosse necessario creare un vero e proprio brand. E qual è stato uno dei brand più interessanti degli ultimi anni? NeN. Da lì una serie di fortunati eventi mi ha portato a trovarmi in questa nuova avventura.
Qual è la differenza rispetto ai vostri competitor?
L’idea base di Serenis non è solo erogare terapia (e già questo ci differenzia dai marketplace in cui la piattaforma ti mette semplicemente in contatto con un professionista e poi “scompare”) ma erogarla “meglio”. Possiamo, grazie al digitale e ai dati, migliorare l’esperienza della terapia, monitorare gli avanzamenti, dare dei feedback al paziente e al terapeuta, rendere sempre più accessibile un percorso di benessere mentale.
Il terapeuta ha il vantaggio di avere una piattaforma che solleva da molte incombenze, dalla fatturazione allo scheduling appuntamenti, tutto automatizzato già oggi. Quindi il terapeuta avrà un luogo che gli permette di lavorare meglio, concentrandosi sulla parte a maggior valore, mentre migliorare l’esperienza terapeutica del paziente si tradurrà in più persone che si avvicinano a questo mondo, e idealmente una maggiore efficacia della terapia.
L’altra cosa che ci differenzia è il rapporto con i nostri terapeuti: zero vincoli o esclusive, flessibilità di decidere quante ore lavorare con Serenis: questo ci stimola a renderci una piattaforma utile e funzionale, altrimenti non ci utilizzerebbero.
Infine, ed è quello che mi appassiona di più, vogliamo trovare il linguaggio (e tono di voce) appropriato per parlare di benessere mentale: rendere accessibile non significa banalizzare, significa avvicinare senza dimenticare che parliamo di una professione delicata. Lo dico perché posso: parlare come NeN non è automaticamente essere bravi a comunicare, le parole hanno un contesto, non vanno bene sempre.
Come si coniuga una missione di rendere accessibile il benessere mentale con l’utilizzo di strumenti come i social che “sfruttano” dinamiche psicologiche per aumentare l’utilizzo?
Credo che i social non siano il male per sé. È l’utilizzo che ciascuno ne fa, e invece dal nostro lato credo che il male stia nel chi crea contenuti appositamente studiati per sfruttare le debolezze delle persone. In questo sento una grande responsabilità, tanto che mi sono interrogato insieme al team sin dal primo giorno su come poter generare impatto positivo anche da quello che facciamo sui social. Ne è uscita una bozza di manifesto, che dice per esempio che non facciamo “instant marketing ignorante”, cioè giusto per farlo e per generare interazioni. Perché così non stai rendendo accessibile il benessere mentale, lo stai banalizzando e sminuendo. Sempre in questo manifesto diciamo che non è sempre tutto rose e fiori per cui vogliamo condividere la normalità di iniziare, finire, e magari fallire. Perché i social spesso provocano sensazione di inadeguatezza rispetto a un mondo perfetto. Insomma, è un approccio diverso, che però sento molto allineato ai valori di Serenis e al mondo che vorremmo lasciare.
Penso ne uscirà un manifesto più strutturato.
Quante sono le persone in Italia che hanno problemi di benessere mentale?
C’è un dato che mi ha impressionato. In Italia ci sono 2.5milioni di persone a cui hanno diagnosticato un problema psicologico che in questo momento non si stanno curando, a cui si aggiungono le psicopatologie che stanno emergendo legate al Covid. Uno studio condotto dai docenti dell’Università del Queensland sulle conseguenze della pandemia ha registrato 76 milioni di casi in più per quanto riguarda i disturbi d’ansia e 53 milioni di casi aggiuntivi di depressione maggiore. I casi di depressione maggiore sono arrivati a 246 milioni rispetto ai 193 milioni previsti, parliamo di un +28%, mentre i disturbi di ansia hanno avuto un incremento del 26%, passando da una previsione di 298 milioni a 374 milioni.
La salute mentale è un’emergenza. Il progressivo aumento delle psicopatologie richiede una risposta immediata, cercando di togliere lo stigma sociale a loro associato che porta a vivere con vergogna i propri disturbi psicologici. E in questo la tecnologia, ma anche le parole giuste, ci possono aiutare.