Rossobrunismo è una parola come un’altra. Un’etichetta polemica che si è insinuata nel discorso politico ormai da un po’. Il concetto non è nuovo, ma suggerisce un fenomeno reale che si è rivitalizzato in questa epoca post-ideologica e più propriamente post-globalizzata.
Il termine nasce dall’unione di “rosso”, colore del comunismo e del socialismo, e “bruno”, per il collegamento diretto al nazismo e al fascismo. Un neologismo al servizio di una politica stanca, a tratti più esigente. In esso è racchiuso un meccanismo concreto: la convergenza anomala tra istanze ideologiche differenti o addirittura opposte. Posizioni apparentemente incompatibili, ma da sole insufficienti a rispondere alle esigenze di un panorama politico rinnovato, destra reazionaria e sinistra radicale, mettono da parte le divergenze in nome di un fronte comune contro le élite e il mondo occidentale corrotto.
Evoluzione storica e semantica
Il rossobrunismo emerge inizialmente nel contesto post-sovietico degli anni ’90 con il nazional-bolscevismo di Aleksander Drugin e in Germania e Francia attraverso quelle frange ideologiche che mescolavano marxismo, nazionalismo e antisemitismo.
In Italia il fenomeno si consolida nei primi dieci anni del Duemila. Sono gli anni del V-day, gli anni della crisi economica globale, della nascita del Movimento Cinque Stelle (M5S), quelli in cui Veltroni diventa il primo segretario del Partito Democratico (PD). È il decennio del berlusconismo mescolato all’antiberlusconismo, e della disillusione politica che partorirà populismo e la fine dell’illusione maggioritaria.
La parola diventa di uso comune in contesti giornalistici e accademici che osservano i movimenti post-ideologici e il ritorno del sovranismo. Dal 2018, infatti, con l’alleanza M5S-Lega, il termine “rossobrunismo” conosce una nuova ondata. Per la prima volta nella storia della repubblica italiana una forma elettorale più fluida fa capolino nella scena politica nazionale. L’avvicinamento del partito gialloverde a quello di Salvini segna l’unione tra un partito anti-sistema a vocazione post-ideologica ad uno di estrema destra.
Temi del rossobrunismo
Alla base di questa convergenza ideologica che cade sotto il nome di rossobrunismo, si trovano alcuni nuclei tematici condivisi. Entrambi i poli, sia destra che sinistra, convergono su posizioni nettamente critiche nei confronti degli Stati Uniti, della NATO oltre che in un linguaggio politico populista. Spesso la retorica è anti-sistema e il messaggio manicheo, in nome del “popolo tradito”. A ciò si aggiungono la tendenza al cospirazionismo e alla diffidenza dalle fonti ufficiali di informazione.
Il nemico principale del rossobrunismo è però uno: la globalizzazione. La critica della sinistra è allo sfruttamento economico da parte delle multinazionali e dei mercati finanziari globali. La destra, invece, interpreta la globalizzazione come la distruzione dell’identità nazionale e culturale. E così nascono forze politiche che perseguono misure anti-migrazioni.
Quella che sembrerebbe una semplice provocazione retorica suggerisce invece una trasformazione più profonda e sentita. Nel caso del governo laburista Starmer in Inghilterra, osserviamo una sinistra conservatrice che si allontana in maniera repentina dalle posizioni progressiste che dovrebbe tenere in quanto partito di sinistra. Un’inversione di marcia che trova spiegazione nel perseguimento di politiche anti-immigrazione.
Il caso è sicuramente anomalo, ma non l’unico. In Danimarca, il ministro Mette Frederiksen ha adottato un pacchetto di riforme “zero rifugiati”, in contrapposizione con la sua posizione socialdemocratica che tutto farebbe pensare, meno che ad un cambio di rotta.
Tutto questo suggerisce una nuova esigenza di trovare risposte alla crisi dei tradiizonali schieramenti ideologici che hanno fatto la politica internazionale e nazionale e che oggi sono inadatti al progedire delle tematiche e delle esigenze popolari e sociali.