“Devi dare agli spettatori piacere, lo stesso piacere di chi si sveglia da un incubo.”
(Alfred Hitchcock)
Era il 1896 quando l’illusionista, attore e regista francese Georges Méliès riprendeva, sullo sfondo di un’atmosfera gotica, il terribile Mefisto svolazzare furtivamente all’interno di un castello medievale sotto forma di un piccolo pipistrello. Prendeva vita attraverso sperimentazioni cinematografiche d’avanguardia, il primo (forse) cortometraggio muto della storia del genere horror: “Le Manoir du Diable”. Un’opera suggestiva e pionieristica, capace di trascinare gli spettatori del passato in un mondo inquietante e misterioso. Gli effetti spettrali, ottenuti grazie al trucco della sostituzione e della manipolazione delle immagini, lasciarono un’impronta significativa e duratura nella cinematografia del fantastico. Fu così che nel 1913, tra i cupi vicoli di Praga, il regista danese, naturalizzato tedesco, Stellan Rye realizzava un nuovo racconto dell’orrore, incentrato sul famoso espediente narrativo del patto con il diavolo. L’innovativo lungometraggio muto, intitolato “Lo studente di Praga”, rimaneva tuttavia ancora distante dall’indagare in profondità le più oscure paure dell’animo umano. Un senso diffuso di incertezza e spaesamento, figlio del contesto politico e sociale del primo dopoguerra, trovava una rappresentazione accurata negli ambienti distorti e stravaganti de “Il Gabinetto del Dottor Caligari”. Prodotto nel 1920, all’indomani della Prima guerra mondiale, questo lungometraggio viene oggi considerato il precursore per eccellenza del genere horror. Qui i giochi di luce e ombra permisero al regista espressionista Robert Wiene di rappresentare al meglio, sullo schermo, i terrificanti volti dei personaggi, caduti gradualmente in preda alla follia, persi tra realtà e finzione.
L’incubo di una nuova possibile dittatura si materializzava nella figura del temibile vampiro Nosferatu, che, celato dietro la maschera del Conte Orlock, dominava imperturbabile il villaggio di Wisborg. Il film del tedesco Friedrich Wilhelm Murnau, proiettato nel 1922, raccolse e amplificò il clima di paura e sfiducia di un pubblico tedesco segnato da una preoccupante epidemia sociale. Tecniche ed escamotage del terrore approdarono, ben custoditi nei bagagli dei cineasti tedeschi, sulle sponde statunitensi. Tra gli anni ’20 e ’40 del secolo scorso, esplose, da parte delle case di produzione cinematografica americane, l’interesse per il brivido. Nel 1931, la Universal Pictures produsse due classici intramontabili del genere: “Dracula” di Tod Browning e “Frankenstein” di James Whale. Si dava così il primo ciak ai Monster Movies. Dilagava rapidamente la smania di rappresentare impressionanti metamorfosi di uomini in bestie, capaci di suggestionare un pubblico sempre più numeroso. Prezioso cimelio del cinema dell’orrore rimane, a tal proposito, il film originale di Stuart Walker, “Werewolf of London”.
Le prime produzioni horror non rimasero però immuni dai rigidi colpi della censura: le rappresentazioni sul grande schermo di gesti violenti e di deformità fisiche (reali o meno) venivano considerate inammissibili.
“Non c’è terrore nell’esplosione, solo nella sua anticipazione.”
(Alfred Hitchcock)
Con l’arrivo degli anni ’50, il clima severo e conservatore lasciò gradualmente spazio all’esigenza di affrontare gli orrori reali. Dopo la Seconda guerra mondiale nacque la Hammer, storica casa di produzione britannica, inaugurata nel 1955 con il film “L’astronave atomica del Dottor Quatermass”. L’obiettivo principale? Esorcizzare le paure legate a una possibile guerra atomica. Degna erede della Universal Pictures, la Hammer riuscì a rendere il genere horror ancora più horror, anche grazie al passaggio al cinema a colori.
“C’è qualcosa di più importante della logica: l’immaginazione.” (Alfred Hitchcock)
Fascino e terrore per l’ignoto diventano i pilastri del nuovo cinema dell’orrore del secondo dopoguerra, spaventato dall’uso improprio della scienza e della tecnologia. Creature aliene e letali divennero protagoniste di cult cinematografici come “La cosa da un altro mondo” (1951), diretto da Christian Nyby e Howard Hawks. Macabra e sovversiva, fece il suo eclatante ingresso nel genere, la pellicola di George A. Romero, “La notte dei morti viventi”. Un cult che dipingeva azioni molto più sanguinose e aggressive rispetto ai precedenti prodotti cinematografici, tanto da scatenare dure critiche da parte dell’opinione pubblica. “La notte dei morti viventi” ha costituito una metafora dell’evento devastante della guerra in Vietnam. Traslando gli orrori della guerra su un piano immaginifico, gli zombie, ovvero esseri umani privati di volontà e individualità, rappresentano quegli eserciti influenzati da problematici ideali e retoriche fuorvianti. Romero scava in profondità evidenziando le crepe di un’America intollerante e razzista.
Gli anni ’60 offriranno il palcoscenico all’horror psicologico. Turbe emotive e suspense incontrollabili vengono presentate al pubblico da uno dei grandi maestri del cinema dell’orrore: Alfred Hitchcock. I titoli chiave? Psyco (1960) e Gli uccelli (1963).
“Credo sia una grande soddisfazione per noi utilizzare l’arte cinematografica per creare un’emozione di massa. E con Psyco ci siamo riusciti. Non è un messaggio che ha incuriosito il pubblico. Non è una grande interpretazione che l’ha sconvolto. Non è un romanzo molto apprezzato che l’ha avvinto.”
(Alfred Hitchcock)
La regia impeccabile e l’uso innovativo di tecniche cinematografiche hanno contribuito alla creazione di un’instancabile tensione negli spettatori. Il regista manipolava abilmente il tempo e lo spazio, alternando situazioni di calma apparente a improvvisi momenti di terrore. Spesso faceva uso della soggettiva, con particolare attenzione ai dettagli. Le inquadrature diventavano sempre più intense e simboliche, amplificate da un uso sapiente del suono e del montaggio, elementi indispensabili per incrementare l’effetto drammatico.
Con l’arrivo degli Anni ’70, il genere horror diventa uno spartiacque tra un prima e un dopo. Le figure folkloriche e le atmosfere cupe e gotiche di antichi e lontani villaggi europei vengono abbandonate, per avvicinarsi alla realtà quotidiana. Tratto dall’omonimo romanzo di William Peter Blatty, è il film l’Esorcista, diretto dal regista William Friedkin. Cult celebre e iconico della storia di questo genere, esplora e indaga le numerose cronache relative alla nascita di sette dedite a culti misteriosi. La pellicola sfrutta il terrore suscitato dalla figura di Satana, non più affacciata dalla torre di un alto castello, ma insinuata tra i meandri del quotidiano.
Il periodo post-bellico era fortemente dominato dal rifiuto e dalla ribellione giovanile nei confronti di ogni sorta di obbligo e costrizione. Voglia di libertà che sfociò nell’utilizzo indiscriminato di alcol e sostanze stupefacenti. Impregnato di una forte critica sociale fu “Halloween-la notte delle streghe”, diretto nel 1978 da John Carpenter. Un nuovo mostro, armato di coltello e ossessionato da giovani adolescenti. Il personaggio di Michael Myers altro non rappresenta che il bigottismo e l’intransigenza di una morale ipocrita. Il cult diede origine al sottogenere horror definito Slasher, il quale vede la riproduzione di uno schema narrativo incentrato sulla figura di un assassino.
Destinato a scrivere la storia del cinema, è il cult dell’orrore, intitolato “Shining”. Film visionario del genere horror diretto, nel 1980, dal regista Stanley Kubrick. Eventi sovrannaturali incoraggiano una psiche disturbata, in procinto di crollare. Terrore e suspence, qui, si aggirano, con particolare efferatezza, tra le strade del subconscio.
Numerosi sono i prodotti cinematografici dell’orrore che vogliono raccogliere, raccontare e criticare non solo le paure della propria epoca ma anche i desideri più nascosti dell’umano: dagli ambienti claustrofobici di Ridley Scott all’estetica intensa, visiva e sonora, di Dario Argento. Inoltre, negli ultimi decenni si assiste alla produzione di differenti pellicole impregnate spesso di una forte critica sociale come i brillanti dialoghi di Jordan Peele e le strabordanti immagini di Coralie Fargeat.
Espressionismo tedesco, moderni thriller psicologici, creature gotiche e nuove narrazioni sociali, così il cinema dell’orrore ha continuato a evolversi, a mutare forma, a scardinare regole e a riscrivere linguaggi. Una certezza? non smetterà mai di farlo. Il genere horror non è mai stato solo una sequenza di urla, sangue o mostri in agguato dietro l’angolo. È lo specchio di un’epoca, il riflesso distorto delle paure di una società, un tentativo di esorcizzare il quotidiano, e di mettere in scena l’indicibile.
“Basta gettare uno sguardo sul mondo per comprendere che l’orrore è semplicemente la realtà.” (Alfred Hitchcock)