Quattro amici ormai ben oltre la soglia dei trent’anni, pochissimi mezzi economici e una fortissima pressione sociale che sfocia in un’azione tanto avventata quanto potenzialmente disastrosa: sembra un testo dei Pinguini Tattici Nucleari, e invece sono le premesse di “Di Noi 4”, film della scena indipendente che pur portando la firma di Emanuele Gaetano Forte nasce in realtà da un’idea di due dei suoi attori principali, Giovanni Anzaldo e Giulia Rupi, i quali, come essi stessi raccontano, hanno ricevuto l’ispirazione per la realizzazione della pellicola in seguito a una conversazione telefonica con amici, l’hanno sviluppata in collaborazione con il regista e sceneggiatore, e ora stanno girando per i vari cinema italiani promuovendo la loro creatura nata da un intenso lavoro di gruppo, un prodotto realizzato con pochi mezzi, ma ottimo carburante, come un team chiaramente affiatato e quella volontà spontanea di raccontare una storia o anche solo uno stato d’animo.
Insomma quello venutosi a instaurare tra queste cinque menti creative sembra essere un vero e proprio rapporto di genitorialità artistica, che forse potrà non essere la stessa di cui si parla all’interno del racconto, ma non per questo è meno importante per chi, come questi ragazzi, ha deciso di dedicare la propria vita al mettere in scena la propria interiorità.
Trent’anni e (non) incinta
Giamma (Giovanni Anzaldo), Rachel (Roberta Lanave), Alda (Giulia Rupi) e Pier (Elio d’Alessandro) sono due coppie di fidanzati, e, più in generale, quattro amici di lunghissima data, accomunati da forti difficoltà economiche, dalla tendenza a ragionare fuori dagli schemi, e dall’ansia data da una società borghese e conformista che tratta da emarginati, da scapestrati o addirittura da falliti coloro che superati i trent’anni non hanno ancora ottenuto stabilità e famiglia.
Questi tre elementi emergeranno prepotentemente durante il compleanno di Alda, portandoli a partorire un’idea folle degna di una commedia pirandelliana: concepire e crescere un bambino in quattro, sperando che le risorse economiche di tutti quanti bastino per il suo mantenimento.
La situazione, già di per sé paradossale, si complica ulteriormente quando, estraendo a sorte, si stabilisce che il suddetto bambino dovrà essere concepito da Rachel e Pier, con buona pace dei rispettivi partner.
Fin dalle primissime scene è evidente come regista e attori vogliano immergere il pubblico in una situazione di forte convivialità: non soltanto noi spettatori dobbiamo percepire il profondissimo rapporto di amicizia e confidenza che lega i protagonisti, ma dobbiamo letteralmente trovarci lì con loro, cosa che ci permette di vivere in maniera ancor più intensa e diretta quello che difatti è un vero e proprio dibattito sociale e filosofico atto a portare in scena le fragilità e contraddizioni dell’essere umano.
Basti anche solo guardare i protagonisti: si tratta di musicisti, scrittori, studiosi di scienze politiche, persone chiaramente abituate (sebbene il film non lo dica mai in maniera esplicita) a ragionare in un’ottica progressista, che però usano la matrice apparentemente ribelle e rivoluzionaria del gesto che stanno per compiere per nascondere il fatto che questo serve solo a renderli finalmente conformi ad una società che nemmeno gli piace tramite una genitorialità per la quale non sono pronti.
La svolta data alla serata corrisponde inoltre a una svolta nella messinscena dei rapporti tra personaggi, che da semplici amici di una vita sembrano diventare prima una sorta di comunità più ampia dai meccanismi quasi orgiastici o addirittura omoerotici, poi un unico organismo in cui ognuno appare più come una sfaccettatura di una mente unitaria piuttosto che un singolo individuo, e infine subire un ulteriore svolta quando il loro folle progetto va inevitabilmente ad ingolfarsi, e il tentativo di prendere il totale controllo dei propri istinti e ribaltare un tabù sociale viene compromesso dallo stesso tabù che finisce a sua volta per prendere il sopravvento su di loro.
Ricchi e poveri
Forse non tutti sanno che il nome della nota band italiana fu coniato da Franco Califano per sottolineare come questi fossero ricchi di inventiva, ma poveri dal punto di vista economico.
Chissà, forse se il mitico cantautore romano fosse ancora in vita troverebbe questo nome altrettanto azzeccato anche per “Di Noi 4” e lo staff dietro alla sua realizzazione, dato che questi sono l’ulteriore riprova di come i grandi mezzi economici non siano sempre necessari per realizzare un bel prodotto quando si hanno buone storie e buone idee per la messinscena.
L’impostazione fortemente teatrale con pochi attori in un’unica location, già amatissima e resa mainstream in Italia da prodotti come “Perfetti Sconosciuti”, qui viene ulteriormente arricchita, paradossalmente, proprio dalla scarsità del budget (data, come raccontato dallo stesso Emanuele Gaetano Forte, dall’abbandono del produttore nel bel mezzo della realizzazione del film) la quale ha costretto il regista a soluzioni tanto brillanti quanto coerenti con la forte autoironia che permea l’intera pellicola: basti pensare alla colonna sonora, quasi totalmente assente dal film e sostituita dalle linee della sceneggiatura che compaiono sullo schermo ad indicare quando noi spettatori dobbiamo immaginare l’inizio di canzoni come “l’Amour Tojours” di Gigi d’Agostino o “Wannabe” delle Spice Girls.
In generale ad arricchire ulteriormente la narrazione sono proprio gli elementi extradiegetici: che si tratti di una sfocatura, di uno split screen o dell’uso di un rallenty, nulla è dato dal caso, e tutto ha un qualche tipo di significato espressivo che va ad aumentare e non di poco la potenza emotiva del film.
Insomma, “Di Noi 4” è un esperimento più che riuscito, un progetto che per la capacità di raccontare con efficacia una storia nonostante la povertà dei mezzi, per la graffiante ironia e per la rappresentazione dei drammi di una generazione potrebbe essere associato a prodotti come “Clerks”, ma che al di là di qualsiasi possibile paragone riesce a mantenere una fortissima identità personale, e a raccontare una storia forse già vista con modalità completamente nuove, esattamente come ogni autore dovrebbe fare.