Capolavoro o riscrittura acritica di un classico? È ormai da diversi giorni che la stampa specialistica italiana si interroga sulla natura intrinseca di West Side Story, ultima fatica cinematografica di Steven Spielberg che riprende il pluripremiato film di Robert Wise e Jerme Robbins e ne effettua un remake fedelissimo all’originale.
Ammesso che abbia senso definire una gerarchia tra la pellicola uscita nel 1961 e il lungometraggio in sala a partire dal prossimo 23 dicembre – ancor più se si pensa che il lavoro di Wise e Robbins recuperava a sua volta un musical di grande successo a Broadway -, il dibattito che si è scatenato sin dalle ore successive la presentazione stampa del film rischia seriamente di non avere un’effettiva conclusione.
Allora, ai non amanti delle etichette di sorta, agli spettatori che vorranno confrontarsi con un film semplicemente in quanto tale, resterà ben di più degli interrogativi circolati negli ultimi giorni online.

La storia, si diceva, ricalca pedissequamente il copione originale: nella New York degli anni ’50 la così detta “rigenerazione urbana” può già far rima con la “gentrificazione” così come la intendiamo oggi, un processo che trasforma le metropoli contemporanee in luna park per soli ricchi.
Il West Side di Manhattan è conteso tra due gang rivali: i Jets, europei di seconda e terza generazione che si sentono padroni del quartiere, e gli Sharks, immigrati portoricani arrivati nella Grande Mela ammaliati dal sogno a stelle e strisce. E nel gioco di tensioni che da sempre caratterizza i ghetti di tutto il mondo, una storia d’amore scoppia prepotente tra due personaggi appartenenti alle due fazioni rivali. Tony e Maria (rispettivamente interpretati dai convincenti Ansel Elgort e Rachel Zegler) nel West Side Story datato 2021 sono ancora due eroi dalla vocazione shakespiriana, che per fedeltà al copione ci liberano finalmente dalla dittatura del lieto fine.
Il cinema come fiaba
Il film di Spielberg parte con una lunga panoramica sul West Side proprio come nel film originale. È un movimento di macchina che fa sentire allo spettatore la mano dell’autore, certo, ma è forse anche una formula grammaticale che sostituisce con eleganza il disneyano «C’era una volta…».
Di film che iniziano con piani sequenza che partono da lontano per avvicinarsi lentamente all’oggetto inquadrato, la storia del cinema ne è piena. Il più celebre è forse l’incipit di Quarto Potere di Orson Welles, con un lungo dolly che scavalca le recinzioni per entrare dentro Xanadu, la sfarzosissima villa di Charles Foster Kane. Espediente ripreso più di recente da Paolo Sorrentino in È stata la mano di Dio ed anche – casualità – dall’altro kolossal del momento prodotto da Netflix, Don’t Look Up di da Adam McKay.
Il cinema, insomma, ritorna a farsi fiaba. Ed oggi più che mai sente l’esigenza di estraniarsi dal reale, dalla vita vera.
Ed è per questo motivo che il West Side Story di Steven Spielberg non sembra essere invecchiato, nonostante la sua uscita fosse stata rimandata causa pandemia.
Il precedente lavoro di Wise e Robbins rimane uno zenit da seguire e il regista di E.T non commette l’errore di avallarlo, ma anzi recupera certe suggestioni della Hollywood Golden Age con una fotografia dai toni rètro e una gestione dei movimenti in macchina durante le scene di ballo che ricordano Sydney Pollack.
Il cinema come memoria e previsione
Non siamo certo dalle parti di Gus Van Sant, quando riproponeva identico, fotogramma per fotogramma, il remake di Psycho di Alfred Hitchcock.
La cristallizzazione post-moderna di film che hanno fatto un’epoca viene dribblata con classe da un autore che – ce ne fosse bisogno – dimostra ancora una volta di saper stare in equilibrio tra intrattenimento e politica, tra memoria storica e predizione del futuro.
Basterebbero lungometraggi come Schindler’s List o Salvate il soldato Ryan a ricordare il lavoro di spettacolarizzazione della storia attuato negli anni da Steven Spielberg. Così come basterebbe citare Ready Player One per avere una dimostrazione plastica del rapporto che rischia di instaurarsi tra vita biologica e metaverso.
In West Side Story profezie e memorie iniziano a coabitare. La storia d’amore tra un americano e una portoriqueña trapassa veloce come un proiettile ogni significato attribuibile al precedente musical/film per raccontare un’America ancora preda dei conflitti interrazziali.
Allora ciò che appariva infinitamente lontano si dimostra essere incredibilmente vicino. Proprio come nelle favole, proprio come nei grandi classici.