Prendi una calda estate romana, mettici la voglia di Lucamaleonte di tornare ad “attaccare” sui muri, aggiungi gli scatti di Hube ed il risultato è un volume a quattro mani: Colla 00139, edito per Drago. Cerchiamo di farci raccontare il libro direttamente dagli autori.
Ciao Luca benvenuto, ciao Marco… bentornato; le domande tipo: come vi siete conosciuti, com’è nata l’idea e simili, le possiamo direttamente saltare perché nella prefazione del libro ci sono già le risposte. Partiamo però dai banchi di scuola ed il liceo; diciamo che avevate un approccio differente, avete un ricordo, un aneddoto uno dell’altro che ancora ricordate bene e al quale siete particolarmente legati?
L: Ho due ricordi abbastanza precisi che racconto anche nel libro, in realtà. Il primo è quello legato ai pomeriggi passati a casa mia a fare le tavole di disegno tecnico, era una delle poche materie in cui non ho avuto difficoltà e avevo avuto l’idea di riunire un gruppo a casa mia per studiare assieme. Avevo coinvolto anche Marco, e questa cosa mi ha dato modo di conoscerlo meglio. Il secondo ricordo invece è legato ai graffiti, ho perfettamente memoria del primo throw up realizzato da Marco, sulla torretta Enel della stazione Nuovo Salario. Era tornato a scuola felice e con il bozzetto sgualcito in tasca, raccontandomi l’evento. Il pomeriggio sono andato a vederlo, e quel disegno è rimasto sui muri per diversi anni prima di venire cancellato.
H: Siamo stati all’Archimede insieme per meno di un anno, e in quell’anno avrò frequentando forse un mese di lezioni, ma Luca era una delle poche speranze che avevo dentro quella classe. La sua calma inquieta, l’approccio meticoloso che aveva ad ogni singolo piccolo disegno fatto anche su un banco mi catturava. La mia distruttività e il suo essere mite erano in qualche modo complementari, e nella nostra sincerità c’eravamo riconosciuti.
Approccio al muro: siete due fuoriclasse ma avete due stili diversi, durante Colla 00139 quanto e come ha influito la visione artistica di Hube? Stessa domanda ma a parti inverse per Marco.
L: L’idea del libro è nata proprio dalle prime fotografie che Marco mi ha fatto una sera perché si avvicinavamo molto allo stile punk fanzine che stavo ricercando da un po’ di tempo e che faticavo a trovare da solo. Come impostazione personale tento ad essere preciso e pulito e questo non aiutava, la presenza di Marco è stata utile a farmi notare spot vissuti, con molto da raccontare, una visione da bomber che io non ho mai avuto e che ha contribuito a dare al libro l’aspetto finale.
H: Diciamo che il mio approccio al muro è sicuramente riconoscibile, ma è quello che vedi. Luca gli ha dato una voce, lo ha reso più alto.
La presenza sui muri è stata una necessità, uno sfogo che parte da un bel po’ di anni addietro, come e soprattutto quando è cambiato il vostro approccio dagli inizi ad oggi?
L: Il mio approccio, prima più casuale e disordinato è diventato razionale e con una visione a lungo termine. Ho capito che realizzare progetti con un orizzonte più ampio ha dato maggiore senso all’attività artistica generale. Ho capito l’importanza della progettazione e della ricerca.
H: Credo che scrivere mi abbia tenuto attaccato ai muri, alle strade, e anche un po’ alla vita. In una maniera diversa, e in forme diverse, è ancora quello che fa oggi.
Luca, quando hai capito che la tua arte poteva diventare il tuo principale lavoro?
Il percorso per trasformare la necessità di esprimermi in un lavoro vero è stato lungo, e per tanto tempo non l’ho considerata come un’opzione plausibile, per fortuna ho avuto inizialmente il sostegno della mia famiglia, anche economico, e poi quello di mia moglie che ha sopportato momenti di grandi sacrifici. L’impegno e la costanza hanno fatto sì che intorno al 2009 io potessi emanciparmi completamente e vivere esclusivamente grazie alla mia produzione artistica.
Marco, dal rap, ai muri passando per la scrittura e la fotografia; quale di queste forme artistiche ti soddisfa di più e cosa le lega tra loro?
Credo che dalla prima scritta su una panchina al parco ho sempre solo cercato di trovare una voce, la mia, per salvarmi e raccontare quello che vedevo intorno a me, quello che avevo dentro. Da anni stiamo cercando di aprire una strada, qualcuno forse lo sta capendo.
Colla 00139: avete in mente un altro progetto insieme per il futuro?
L: Abbiamo molte idee nate nel corso di questi mesi passati insieme, è normale avere una visione delle prossime mosse è piuttosto normale quando si lavora a qualcosa che ti fa stare bene. Potrebbe essere interessante continuare il progetto allargandolo all’intera città o addirittura spostarsi in altri luoghi, magari cambiando lo stile dei poster.
H: Abbiamo delle idee, mettiamola così.
Il libro è composto da foto, ogni foto ha una storia a sé. A quale siete più legati e perché?
L: Ogni serata di “attacchinaggio” è stata unica e indimenticabile, ma il ricordo a cui sono più legato è quello dell’ultimo poster, una cicala ad ali spiegate con la scritta “canta ora, piangi dopo”, attaccato proprio sui muri della scuola dove io e Marco ci siamo conosciuti. Lo abbiamo fatto in silenzio e un po’ assonnati, e solo dopo ci siamo resi conto dell’importanza di quell’ultima foto, di quell’ultimo colpo di scopa sulla carta. È stata la chiusura dei un cerchio aperto più di vent’anni fa, un percorso lungo e faticoso che ci ha fatto diventare gli uomini che siamo ora.
H: Chiaramente per me la falena, sotto l’Archimede. Canta ora, piangi dopo.
La mia è una vita bruciata presto, ma salvata e risorta a volte non so neanche come. Sembrano tre vite nello stesso film, e Luca c’era sempre, o quasi, almeno nella prima e nella terza.
Venticinque anni dopo, sotto quella scuola, siamo ancora qua e la sensazione è quella di essere appena all’inizio.