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La sinistra non riparta dai MEME

Alla fine è successo davvero. I meme hanno influenzato le elezioni della – presunta – democrazia più importante del mondo. L’Occidente ha definitivamente barattato l’impegno civile con la viralità, la storia con lo storytelling, e quella che si prospetta è l’alba di un mondo totalmente nuovo.

Il capitalismo, sul viale del tramonto, dà un ultimo colpo di reni e cerca di spremere profitto dalle poche risorse rimaste. Troppo facile pensare a Mark Fisher in questo momento, a quando profetizzava che «è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo». 

Frase a sua volta diventata virale e quindi totalmente svuotata del suo reale intento politico, ma di certo eredità di quello che avevamo già definito come l’ultimo intellettuale possibile

Allora forse dovremmo riscrivere questo fatale epitaffio e ripensarlo secondo gli ultimi accadimenti politici: «è più facile immaginare la fine della democrazia che quella del capitalismo». Il pluralismo del passato lascia spazio alla tecnocrazia del presente, l’elettore sostituisce il suo voto con gli UGC, acronimo di User Generated Content. L’alt-right di oggi si muove secondo le stesse dinamiche della woke culture di ieri, invertendo semplicemente il segno del suo agire politico.


Ma come è potuto succedere? Potremmo usare le parole di Byung-Chul Han, filosofo attualissimo e in questo periodo divenuto, suo malgrado, virale, grazie all’uscita di brevissimi pamphlet che raccontano la crisi della società attuale. Han, ne La società della stanchezza, riprende Fisher e così motiva la nuova estetica del tardo-capitalismo: «È dalla profondità dell’ansia e della depressione che nasce una missione così irrealistica. È dalla profondità della psicosi che questa chiamata riceve una forma estetica».

Così come, a inizi Novecento, il fascismo si rendeva conto che l’estetica era uno strumento potentissimo di assoggettamento delle masse, così oggi il processo di democratizzazione delle forme estetiche si espande e diventa virale con la tecnologia. 

In sintesi, i social media, nella loro missione ipocrita di connettere le persone, non fanno altro che esacerbare gli antagonismi sociali, per far sì che le persone clicchino e continuino a generare dati.
Ad analizzare il fenomeno ci ha pensato Mike Watson, in un libro portato in Italia dalla casa editrice Meltemi, il cui titolo sembra perfetto per capire questa nuova stagione segnata dai Memecoin, dal riposizionamento valoriale delle Big Tech e dalla improvvisa riabilitazione del pensiero accelerazionista di Nick Land.
I meme e Mark Fisher, così il titolo del libro, rilegge gli insegnamenti di Realismo capitalista e delle idee nate attorno alla scuola di Francoforte per provare a dare nuovi stimoli creativi e immaginare il futuro del progressismo europeo ed americano. La sinistra, per favore, non riparta dai meme. 

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