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DCA: la via d’uscita. Testimonianze dalla Fondazione Cotarella

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) riguardano in particolare l’anoressia, la bulimia e il disturbo da alimentazione incontrollata o “binge eating”. Un problema sempre più presente in Italia come all’estero, specialmente tra le fasce più giovani della popolazione. Disturbi questi che sembrano essere aumentati a seguito del Covid e del conseguente distanziamento sociale che ha portato molti giovani a dover rinunciare a momenti importanti della loro quotidianità: un incremento stimato al 30-35% con un abbassamento dell’età di esordio. I DCA stanno iniziando a diffondersi infatti anche tra i bambini di 8-9 anni e mentre prima si pensava che la diffusione fosse soprattutto tra le donne, è in aumento anche il numero dei maschi, soprattutto in età adolescenziale e pre-adolescenziale. Disturbi di questo tipo possono essere associati a problematiche di tipo biologico, psichico, familiare o socio-culturale e spesso sono associati ad altre condizioni psicopatologiche come ansia, depressione o disturbi dell’umore.

Oggi, nonostante la pandemia ormai alle spalle, i casi non sembrano scendere e si è ancora distanti dai livelli pre-Covid. Dopo il riconoscimento del disturbo, che molto spesso avviene in ritardo, il paziente ha la possibilità di intraprendere differenti percorsi: l’ultimo censimento al 28 febbraio 2023, ha contato 126 strutture pubbliche su tutto il territorio nazionale, di cui 112 pubbliche del Servizio sanitario nazionale e 14 appartenenti al settore del privato accreditato. Tra queste, ad Orvieto troviamo la Fondazione Cotarella, fondata nel 2021 da Dominga, Marta ed Enrica Cotarella. La Fondazione collabora con istituzioni, università e i principali centri di ricerca in Italia.

«Abbiamo pensato alle famiglie che sentono di non farcela, che spesso non hanno gli strumenti per riconoscere il problema, per accettarlo ed affrontarlo. Serve aumentare la qualità e la capillarità delle strutture di cura ma serve anche fare cultura e prevenzione, servono messaggi positivi.»

(Dominga, Marta ed Enrica Cotarella)

All’interno della Fondazione ci sono tantissime storie di rinascita che meritano di essere raccontate. Tra queste quella di David Scatolla, un giovane di quasi 25 anni che ha sofferto di disturbi alimentari dai 19 ai 24 anni.  

David a rappresentanza della Fondazione, durante un’iniziativa sulla DCA organizzata dal Consiglio comunale dei Giovani di Paliano (FR)

Come è cominciata la tua storia con i disturbi del comportamento alimentare?

La Malattia è esplosa durante il periodo del covid quando avevo all’incirca 20/21 anni. Ma già quando ero bambino non ho mai avuto un bel rapporto col cibo e col mio corpo. Non mi sentivo all’altezza, non mi sentivo giusto, mi sentivo inferiore rispetto agli altri. In adolescenza questi pensieri non se ne sono mai andati anzi, si erano amplificati ancor di più. Per questo avevo paura di fare qualsiasi cosa al di fuori delle quattro mura di casa, una tra queste era condividere dei momenti con i miei amici (feste, cene, aperitivi ad esempio). Mi privavo di tutto pensando di non esserne degno. Poi il Covid, aumentando ancor di più le mie insicurezze, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Sono stati anni alternati tra anoressia e bulimia, tra ricoveri in strutture specializzate e anche in ospedale.

In che momento hai capito di aver bisogno di un aiuto?

Capii di dover chiedere aiuto quando mia madre mi colse in piena attività compensatoria (vomitare), da lì non ebbi via di scampo. Volevo una mano per capire cosa mi stesse succedendo dato che mi ero solo documentato via internet. Ero completamente succube della malattia, il mio pensiero constante erano cibo, fisico e vomito.

Quale è stato il tuo percorso iniziale, prima di incontrare la Fondazione?

Il mio primo percorso iniziò proprio a Todi al centro “Nido delle Rondini” dove stetti per 8 mesi da aprile a dicembre 2021. Le giornate si sviluppano tra colloqui psicologici/nutrizionali e gruppi terapeutici. A settembre del 2022 dovetti di nuovo rientrare in struttura per cause di forze maggiori, fuori non stava andando bene per niente così mi imposero di nuovo il ricovero. Stavolta più duro del primo. Feci tanti downgrade: da essere spostato a “Palazzo Francisci” per poi passare un mese all’Ospedale di Umbertide. Dico duro perché non vedevo via d’uscita dalla malattia, avevo molte più paure e insicurezze rispetto al primo ricovero. Volevo solo scomparire.

Come è cominciato il tuo percorso nella Fondazione?

Ad aprile 2023 decisi spontaneamente di dimettermi perché non riuscivo più a stare all’interno delle mura dalla struttura, mi serviva un qualcosa che mi spronasse a livello umano, così dopo qualche settimana chiamai Dominga Cotarella (Presidente della Fondazione Cotarella). Lei, insieme a Marta ed Enrica e Grazia, mi coinvolsero subito nelle prime attività della Fondazione, come ad esempio gli “Aperitivi Lilla”. Questi aperitivi sono organizzati periodicamente in tutta Italia con l’obiettivo di creare dei momenti di condivisione, convivialità, confronto, nuove amicizie e soprattutto non sentirsi soli, oltre che per fare informazione e sensibilizzazione sul tema dei Disturbi Alimentari. Poi ci sono anche i “Laboratori di Cucina”, nati per creare un esperienza all’interno di cucine stellate, assaporando lo studio, l’impegno, la sperimentazione e la riscoperta della cucina e delle emozioni legate ai sapori e profumi. All’inizio non nego l’ansia nell’affrontare le due cose che più mi mettevano paura (cibo e aperitivi), ma dopo poco tempo non vedevo l’ora di riassaporare quei momenti che si venivano a creare durante queste attività. Ma la Fondazione non è solo questo, grazie al “Punto di Ascolto” situato ad Orvieto centro, si offre ai giovani e le famiglie che vivono da vicino la malattia, un luogo in cui poter essere affiancati e aiutati da coloro che hanno fatto esperienza di questa condizione e da un team composto da nutrizionista e counselor, un luogo in cui poter condividere ed essere ascoltati. Entrai così nel vivo della Fondazione come volontario, aiutandoli sia al Punto di Ascolto che per organizzare eventi ed incontri che tutt’oggi prendono vita sia nelle scuole sia al centro.

E oggi?

Ad oggi lavoro in Fondazione, proprio come Responsabile del Volontariato. Un’iniziativa che può permettere a ragazzi e alle ragazze, giovani ed adulti, di confrontarsi e creare una rete che possa aiutare persone che vivono la malattia. Diventando volontari si potranno svolgere differenti attività tra cui la partecipazione agli incontri che hanno luogo al Punto di Ascolto ed alla Dimora Verdeluce e che spaziano su diverse aree tematiche: arti, comunicazione e teatro, sport, ambiente e natura, relazioni, accoglienza ed organizzazione eventi. Tra le varie iniziative troviamo il Progetto Webradio, che permette ai giovani di esporsi più indirettamente al pubblico, senza il timore del giudizio e naturalmente, i laboratori di cucina e gli Aperitivi Lilla. Ma come volontari si può dare una mano anche nella comunicazione, anche a livello di social, laddove interessati e dipendentemente dalle passioni dei ragazzi. Ad esempio, qualora un ragazzo avesse passione per la fotografia, durante lo svolgimento di qualche evento potrebbe scattare foto che poi verranno usate per la pubblicazione di un post sui social, o ancora, se amasse la scrittura potremmo pensare ad un argomento sul quale sviluppare un testo, che in seguito uscirà sulla pagina di Fondazione. Ad oggi sono fiero della vita che conduco, del rapporto con i miei familiari ed amici. Pensavo di non riuscire a trovare tale serenità devo essere sincero, ma fortunatamente è arrivata. Non nego che sia facile, ogni giorno è sempre una sfida, però mi ritengo più maturo e capace di affrontare determinate situazioni che mi si presentano davanti.

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