Giugno 2024 è ormai alle porte. A ricordarci la prossimità delle elezioni europee 2024 ci pensa anche Sanremo: le matite sul palco portate da tutti i cantanti in gara, non solo per il Fantasanremo ma anche e soprattutto, per il voto politico. Ma prima di questa data, i vari schieramenti scendono in campo nelle questioni principali “ancora tutte da giocare”.
Delle tante sfide europee ne abbiamo parlato con l’eurodeputata del Partito democratico, Daniela Rondinelli.

Onorevole, mi preme cominciare dalla protesta degli agricoltori che ormai ha raggiunto un’eco importante tra l’opinione pubblica, fino a rivendicare il palco di Sanremo. Varie fazioni politiche hanno appoggiato la protesta, tra accuse reciproche sia interne che esterne agli schieramenti. Come membro della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, qual è la sua opinione a riguardo? E come crede che le istituzioni dovrebbero affrontare la questione?
Le proteste di queste settimane, che stanno attraversando molti paesi europei, si basano su ragioni fondate e note da tempo all’Unione europea. Tuttavia è pericoloso politicizzare e polarizzare il dibattito pubblico soffiando sul fuoco dei problemi reali del settore agricolo e zootecnico in Europa. Non dobbiamo cadere nel tranello dei movimenti e dei principali partiti estremisti, che sfruttano il leitmotiv dell’Europa matrigna per conquistare consenso alle elezioni europee. Estremisti e populisti stanno approfittando del malessere e del malcontento di centinaia di migliaia di agricoltori e allevatori – dalla Francia alla Polonia passando per l’Italia – che si sono sentiti minacciati, prima di tutto, da determinate decisioni politiche assunte dai governi nazionali.
L’esempio eclatante è rappresentato dall’Olanda, dove l’Esecutivo ha imposto l’obbligo di riduzione del 30 per cento dei capi di bestiame agli allevatori per sostenere lo sviluppo e la commercializzazione della carne di laboratorio. C’è poi la Germania, dove il governo ha deciso di tagliare tre miliardi di incentivi statali destinati all’acquisto del gasolio agli agricoltori e agli allevatori per ragioni di rigore dei conti pubblici. E, infine, la Francia, dove le proteste sono nate perché il costo dell’acqua è triplicato. Per realizzare i necessari e ambiziosi obiettivi della transizione ecologica, la Commissione europea ha però commesso degli errori. Spesso ha presentato delle riforme con scadenze e obiettivi insostenibili per il settore agricolo europeo e in una fase in cui non ha preso seriamente in considerazione sia gli effetti negativi della pandemia di Covid-19 sia quelli scaturiti dallo scoppio dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente.
L’inflazione infatti ha eroso quasi un centinaio di miliardi di euro di risorse stanziate nella Politica Agricola Comune 2023-2027. Bruxelles non è mai intervenuta adeguatamente per risolvere il problema della giusta remunerazione. Oggi i prodotti agricoli, non solo in Italia, sono venduti a circa un decimo del prezzo finale applicato ai consumatori. Il paradosso è che è l’estrema destra a soffiare di più sul fuoco delle proteste del settore agricolo e zootecnico europeo. Eppure, il Commissario UE all’Agricoltura, polacco e ultraconservatore, in questi anni, non ha mai difeso realmente il mondo agricolo. Per questo, credo che dietro tali proteste si annidino purtroppo interessi politici.
Sono convinta invece che né l’UE né l’Italia possano fare a meno della transizione ecologica. Gli agricoltori sanno che gli eventi climatici estremi e le siccità feriscono in modo irreversibile i territori e danneggiano le loro produzioni e i loro redditi. Nei prossimi cinque anni, occorre garantire un’adeguata riforma della PAC, non più su base settennale, ma adattata ai bisogni contingenti del settore e alle crisi in atto. Occorre sostenere la ricerca, lo sviluppo e la implementazione dell’innovazione tecnologica in agricoltura ed evitare di stringere accordi commerciali svantaggiosi con i paesi terzi pretendendo il rispetto dei medesimi standard ambientali per combattere così la concorrenza sleale e il dumping. La chiave è una sola: conciliare la redditività delle attività agricole con le migliori pratiche ambientali.
Sempre nel mondo del lavoro, lei stessa è l’autrice del libro “Salario minimo europeo” dove ha illustrato tutti i processi decisionali che hanno generato la Direttiva europea sul salario minimo. Una battaglia questa che potrebbe e dovrebbe essere portata anche nei confini nazionali?
Continuo a sostenere che la Direttiva europea Salari minimi adeguati resti il punto di riferimento normativo per alzare e per adeguare le retribuzioni in Italia. Se, purtroppo, siamo ancora qui a parlarne, è perché il governo Meloni ha deciso di affossare la proposta unitaria delle opposizioni che chiedevano di recepire la Direttiva europea e di continuare a tergiversare su una emergenza sociale che coinvolge milioni di lavoratori e lavoratrici precari, pagati meno della media europea, e nel peggiore dei casi, a rischio povertà a causa dei salari da fame.
Dall’approvazione in via definitiva della Direttiva europea nel giugno 2022 a oggi visito i territori per raccontare ai cittadini e alle cittadine le ragioni politiche della genesi del dibattito avviato sul tema dalle Istituzioni europee, in particolare, dal Parlamento Ue che ha contribuito a far emergere, dopo 30 anni di ritardi, la questione dell’introduzione del salario minimo anche in Italia. In questo mio racconto, ricordo sempre le falsità messe in giro dalle destre al governo sulla Direttiva europea e sui benefici di questo strumento adottato ormai da 22 paesi europei su 27.
La Direttiva europea dovrà essere recepita dal nostro Paese entro novembre 2024, pena l’avvio di una procedura d’infrazione dell’UE contro l’Italia. Non solo. Presto o tardi, sono convinta che il governo Meloni dovrà affrontare la realtà di un mercato del lavoro sempre più povero e precario, in cui le nuove professionalità, legate alla transizione digitale ed ecologica, hanno meno tutele e diritti certi delle altre; in cui la contrattazione collettiva, storicamente perno del sistema industriale del nostro Paese, è oramai debole o assente, a causa del “Far west” dei contratti pirata.
Il governo Meloni ha assunto la delega sul salario minimo. Aspettiamo di vedere di cosa sono capaci le destre italiane. Il mio pronostico è negativo, perché sono convinta che la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e la maggioranza sia incapace di dare una risposta adeguata a milioni di lavoratori e lavoratrici. Questo governo è totalmente disinteressato a garantire il lavoro di qualità – Meloni è fedele solo alla propaganda sull’occupazione da record – e perciò volterà le spalle ai poveri e ai fragili continuando indifferente sulla sua strada a maggior ragione se in Europa i partiti conservatori dovessero aumentare il proprio consenso al Parlamento Ue.
Recentemente invece è stato approvato l’AI Act, un importante passo avanti per la regolamentazione di una tecnologia fondamentale oggi e che sarà ancora più centrale nei prossimi anni, nella vita di tutti i giorni. Quale è stato il lavoro dei S&D in questo contesto?
Come Socialisti e Democratici abbiamo voluto difendere i diritti e le libertà fondamentali da un uso senza regole dell’Intelligenza artificiale e degli algoritmi. L’AI ACT riconosce diversi livelli di rischio dell’Intelligenza Artificiale, in modo particolare, quella cosiddetta generativa e per ciascuno di esso ha individuato ed elaborato norme adeguate a salvaguardare i cittadini e le cittadine.
L’approccio dell’Unione europea è quello di un bilanciamento tra rischi e opportunità dello sviluppo tecnologico ovverosia discernere gli usi legittimi, etici e positivi per la collettività da quelli invece che ledono i diritti e le libertà individuali, minacciano la tenuta dei sistemi democratici e danneggiano irreparabilmente il mercato del lavoro. Per noi progressisti infatti il progresso tecnologico deve essere governato, con lo scopo di garantire inclusione e benessere per tutti e per tutte. Come Deputata della Commissione Occupazione e Affari Sociali del Parlamento europeo non sono spaventata dalle trasformazioni certamente dirompenti che l’IA apporterà, purché siamo pronti in quanto decisori politici a correggere in tempo ingiustizie e squilibri.
Sono stata relatrice della risoluzione sulla proposta di Direttiva per la tutela professionale e sociale degli artisti e dei creativi. Il mondo della cultura, dell’arte, della creatività e dei media è uno dei primi che sta già subendo e subirà trasformazioni profonde legate all’uso dell’IA. Per questo motivo ho lavorato molto perché milioni di lavoratori e lavoratrici europee, già penalizzati dal Covid-19, vengano presto tutelati anche e soprattutto dallo sviluppo e da un uso senza regole dell’IA generativa oltre che da algoritmi opachi e pervasivi che possono condurci a una sostituzione Uomo-macchina inaccettabile.
Come già detto, a giugno ci saranno le elezioni europee. In che prospettiva guardate all’Europa del 2025?
La prospettiva è quella di impedire l’avanzata dei conservatori di Identità e Democrazia e dei Riformisti e Conservatori al Parlamento europeo – sono i due gruppi politici ai quali appartengono rispettivamente Lega e Fratelli d’Italia – perché minerebbe il lavoro fatto in questi cinque anni di legislatura sul rafforzamento del Pilastro dei diritti sociali e del rispetto dello Stato di diritto. Salterebbero in aria i processi di transizione ecologica e digitale in chiave inclusiva e il percorso di integrazione dell’Unione europea necessario, possibile solo avviando finalmente la riforma dei Trattati.
I Socialisti e i Democratici e il Partito Democratico dovranno continuare sulla strada tracciata in questa Legislatura, lavorando sodo, assieme ai Moderati e ai Liberali, per mettere in atto un profondo sforzo riformatore sui temi principali cari ai cittadini, cittadine, imprese e famiglie, a mio avviso, temi pilastro dell’Unione europea: welfare, governance economica e politica, lotta alla crisi climatica, difesa e sicurezza comune per riuscire a parlare sempre a una voce sola, più forte delle divisioni interne e più resiliente alle minacce e alle incertezze globali.