«Nel giorno della Festa del Lavoro, il governo sceglie di lavorare e dare risposte a coloro che legittimamente aspirano a cambiare la loro posizione e lo facciamo con una serie di provvedimenti articolati. Il più importante tra tutti è il taglio delle tasse sul lavoro». Queste le dichiarazioni della Premier, Giorgia Meloni, in un video che precede il Consiglio dei Ministri del 1 maggio, e che sostituisce la tradizionale conferenza stampa con i giornalisti. Un messaggio diretto attraverso il quale Meloni risponde alle proteste dei sindacati che avevano accusato il governo di svolgere un Cdm proprio nel giorno della Festa dei Lavoratori.
Tra gli interventi principali previsti dal nuovo Decreto Lavoro si punta a ridurre il cuneo fiscale nei confronti dei lavoratori dipendenti con redditi fino a 35mila euro lordi annui, a contrastare la povertà e l’esclusione sociale e a promuovere politiche attive del lavoro, con l’obiettivo di assicurare un’adeguata formazione al fine di favorire “l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”. Infine, si introducono misure volte a rafforzare “la sicurezza sul lavoro e la tutela contro gli infortuni” e viene modificata la disciplina del contratto di lavoro a termine.
La riduzione della pressione fiscale
Con il nuovo decreto l’esonero parziale sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico dei lavoratori dipendenti vengono innalzati dal 2 al 6 per cento, nel periodo di paga dal 1° luglio al 31 dicembre 2023 (con l’esclusione della tredicesima mensilità) mentre l’esenzione viene innalzata al 7% se la retribuzione non eccede l’importo mensile di 1923 euro (pari a circa 25mila euro di reddito). Per il 2023 invece viene confermato l’incremento della soglia dei fringe benefit a 3mila euro, con un investimento di 142 milioni ma solo per i lavoratori dipendenti con figli a carico. Infine si prevede un’estensione ai genitori vedovi della maggiorazione dell’assegno unico prevista per i nuclei familiari in cui entrambi i genitori siano occupati.
Le misure per il lavoro: dall’inclusione sociale all’incentivazione dell’occupazione giovanile
Dal 1° gennaio 2024 verrà introdotta una misura nazionale di contrasto alla povertà, l’Assegno di inclusione che sostituirà il Reddito di Cittadinanza: viene integrato il reddito in favore dei nuclei familiari con una persona con disabilità, un minorenne o un ultra-sessantenne in possesso di eventuali requisiti come la cittadinanza o il permesso di soggiorno e la durata della residenza in Italia. Il contributo mensile di importo non inferiore ai 480 euro esenti dall’Irpef sarà erogato dall’Inps per un periodo non superiore ai 18 mesi con possibilità di rinnovo per altri 12 mesi. Per i soggetti occupabili, tra i 18 e i 59 anni che non rientrano tra le categorie fragili, è prevista la decadenza del beneficio nel caso di rifiuto di un’offerta a tempo pieno o parziale, inferiore al 60% dell’orario a tempo pieno con una retribuzione non inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi e che sia: su tutto il territorio nazionale a tempo indeterminato e se il luogo di lavoro non dista oltre 80km dal domicilio, nel caso del contratto a tempo determinato. Inoltre, come riportato nel testo, per evitare il godimento irregolare del beneficio sono previsti “un adeguato regime sanzionatorio e una specifica attività di vigilanza da parte del personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del Lavoro (INL) dell’Inps, della Guardia di finanza e dei Carabinieri”.
Ai soggetti invece di età compresa fra i 18 e 59 anni in condizioni di povertà assoluta, facenti parte di nuclei familiari privi dei requisiti per accedere al sostegno del reddito e ai componenti di nuclei che invece lo percepiscono e che non siano calcolati nella scala di equivalenza, è riconosciuto un diverso contributo, volto a sostenere il percorso di inserimento lavorativo, anche tramite la partecipazione a progetti di formazione, qualificazione, riqualificazione professionale, di orientamento e accompagnamento al lavoro: i beneficiari riceveranno un beneficio economico pari a 350 euro al mese con la partecipazione a programmi formativi per un massimo di dodici mesi. Tra le altre misure per favorire l’occupazione giovanile sono previsti incentivi pari al 60% della retribuzione per un massimo di dodici mensilità a favore dei datori di lavoro che assumono giovani sotto i trent’anni di età, non inseriti in programmi formativi e registrati nel PON (Iniziativa Occupazione Giovani).
Le modifiche sui contratti a termine e sulle regole di sicurezza sul lavoro
Nel testo sono presenti anche modifiche alle discipline riguardanti i contratti di lavoro a tempo determinato: i contratti potranno avere durata superiore ai 12 mesi ma non eccedente i 24 mesi nei casi di contratti collettivi, per esigenze di “natura tecnica, oggettiva o produttiva” e per sostituire altri lavoratori. Un intervento che consentirebbe “un uso più flessibile di questa tipologia contrattuale”. Per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, si istituisce presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali un fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni in occasione delle attività formative. Previsto anche l’obbligo per i datori di lavoro di nominare il medico competente se richiesto dalla valutazione dei rischi, l’estensione ai lavoratori autonomi di alcune misure di tutela previste nei cantieri e l’obbligo di formazione specifica in capo al datore di lavoro nel caso di utilizzo di attrezzature di lavoro per determinate attività e conseguenti sanzioni in caso di inosservanza.
“Un tesoretto da 4 miliardi”
Le nuove misure rappresentano un investimento da 4 miliardi, “il più importante taglio delle tasse degli ultimi decenni” per Giorgia Meloni. Ma il decreto non ha ricevuto pareri positivi dai vari rappresentanti dei sindacati. Per il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini e il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, i provvedimenti non andrebbero nella direzione indicata dai sindacati, denunciando la creazione di “ulteriore precarietà nel mondo del lavoro” e preannunciando quindi mobilitazioni per i prossimi mesi, mentre spinge per un confronto più intenso il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, criticando comunque il Governo per aver approvato troppi provvedimenti senza il coinvolgimento delle parti sociali. Infine, per i
l’ ex Presidente dell’Inps, Tito Boeri, il potere d’acquisto dei lavoratori italiani dalla pandemia ad oggi ha subito una perdita pari a 40miliardi. Quindi gli investimenti inseriti nel decreto coprirebbero al momento solo il 10% della perdita. Al centro della discussione urge dunque ristabilire e rafforzare “il filo del dialogo tra parti sociali e Governo”. Nel frattempo nei prossimi mesi il Decreto approvato sarà “la guida” nel mondo del lavoro in Italia.