Si parlerebbe di più di 60 milioni di fondi ministeriali, destinati in meno di 20 anni all’accoglienza dei migranti sul territorio della provincia di Latina. Fondi arrivati alla Coop Karibu e il Consorzio Aid entrambe riconducibili ad un nome, Marie Therese Mukamitsindo, suocera di Aboubakar Soumahoro. Stiamo parlando del sindacalista di origini ivoriane, 42 anni, famoso per le sue lotte contro il caporalato ed eletto lo scorso settembre alla Camera dei deputati nella lista di Alleanza Verdi-Sinistra Italiana, per volere di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Una vicenda che dal giorno dell’uscita del primo articolo su Repubblica, dove si denunciavano le condizioni in cui versavano gli alloggi dei dipendenti, i mancati stipendi di quest’ultimi e l’avvio delle indagini da parte della Procura di Latina, l’intera vicenda è precipitata nel caos, colpendo sia i vertici dei due partiti alleati nonché tutto l’insieme dei democratici e progressisti.
La vicenda
È cominciato tutto con un articolo pubblicato su Repubblica, in cui si parlava di un’indagine in corso da parte dei carabinieri su presunti sfruttamenti avvenuti all’interno delle due cooperative, di proprietà della suocera di Soumahoro e in cui lavora anche sua moglie, Liliane Murekatete. Il 17 novembre, il Deputato pubblica un post sui suoi social, dove si difende dalle accuse del quotidiano:
«Non c’entro niente con tutto questo e non sono né indagato né coinvolto in nessuna indagine dell’arma dei carabinieri, di cui ho sempre avuto e avrò fiducia.»
Ed effettivamente, Soumahoro non rientra tra la lista degli indagati dove in cima c’è invece sua suocera, Marie Therese Mukamitsindo che però porta inevitabilmente l’immagine dell’ormai ex sindacalista nel baratro. Nei giorni seguenti, dopo l’uscita di un video in cui Soumahoro in preda alla disperazione prega chi lo sta guardando di smetterla di attaccare la sua famiglia, sia Repubblica che altre testate cominciano a far uscire un articolo dopo l’altro sulla vicenda, tra nuove testimonianze e interrogazioni da parte di politici locali raccolte tra il 2018 e il 2019.
Immobili, appartamenti, villette e ruderi. Investimenti da più di 60 milioni di euro arrivati nel territorio di Latina in meno di 20 anni. Tutti fondi ministeriali destinati a Karibu e Aid. Strutture che però sono state descritte dai testimoni come fatiscenti e non a norma. Tanti edifici, molto spesso in affitto, tante piccole vicende che si sono replicate negli anni più o meno con lo stesso modus operandi e che hanno coinvolto inevitabilmente anche i rispettivi comuni. Nel 2018 alcuni politici locali lamentavano la presenza di “troppi soldi” destinati al Comune di Roccagorga, tra i principali territori dove agivano le due cooperative: si parlerebbe di 15 milioni di euro in 15 anni, destinati all’affitto di appartamenti per la cooperativa Karibu come parte del cosiddetto progetto Sprar. Nel 2019, dopo la morte tragica di uno dei ragazzi che alloggiavano lì, la sindaca Nancy Piccaro, che aveva ereditato il progetto dall’amministrazione precedente, dichiarava che la situazione era “fuori controllo” decidendo così di non rinnovare l’accordo. Sempre nel 2019, si denuncia un’altra situazione di degrado: l’immobile a Campodicarne. Nel giorno della visita ispettiva da parte dell’ex senatrice dei 5 Stelle (ora membro di Sinistra Italiana), Elena Fattori, non c’è nessuno, solo una casa che “cade a pezzi e tante scarpe sporche di fango”. Casi simili sono fuoriusciti negli anni, da Terracina a Sezze, dove la Karibu ha mosso i primi passi fino a Latina, dove una villa affittata alla Karibu e con gli arredi già sistemati per 50 migranti, fu sequestrata dalla polizia locale alla vigilia dell’apertura per abusivismo. La risposta dei responsabili fu che nessuno si era accorto di nulla.
Nei giorni successivi quello che ormai è diventato a tutti gli effetti uno scoop non sembra arrestarsi: continuano ad uscire testimonianze (tra cui quelle dei lavoratori della coop) e documenti giudiziari che teoricamente, dato il processo ancora in corso, dovevano rimanere riservati. A questo punto intervengono i vertici di Verdi-SI, coloro che hanno messo “una buona parola” sul nome di Soumahoro durante la composizione delle liste per i “democratici e progressisti” per il voto del 25 settembre: Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.
Fratoianni e Bonelli: “non sapevamo nulla”
I due leader di Alleanza Verdi-Sinistra Italiana si sono subito defilati dal “mea culpa” dichiarandosi estranei alla vicenda. Intervistati da Lucia Annunziata a Mezz’Ora in più su Rai 3 hanno fatto due importanti dichiarazioni. La prima sembra difendere il deputato: “si è garantisti con chi ha in corso procedimenti giudiziari e qui non c’è alcun procedimento” mentre la seconda ribadisce quello che i due praticamente dichiarano da giorni: “non eravamo a conoscenza di queste questioni prima della campagna elettorale. Quando il 10 agosto abbiamo presentato la candidatura di Aboubakar, se qualcuno sapeva che c’erano circostanze che sconsigliavano quella candidatura avrebbe potuto dirlo”. Ultime parole famose, perché poche ore dopo l’uscita dell’articolo di Repubblica, sono spuntate anche diverse testimonianze di sindacalisti e personaggi politici che si erano espressi contro la candidatura di Aboubakar. Alcuni di loro avevano parlato direttamente con i due interessati tanto da sottoscrivere una nota:
«A tempo debito avevamo sostenuto l’inopportunità della candidatura. Non le ripercorriamo nel dettaglio perché non intendiamo prendere parte al linciaggio mediatico in corso…chi ha scelto di scaricarlo con lo stesso disinvolto cinismo che lo ha indotto ieri a sfruttarne in termini elettorali la popolarità, ha prodotto un immenso danno di immagine a Sinistra italiana…»
A questi si aggiungono le dichiarazioni di Elena Fattori, la stessa che nel 2019 aveva visitato la struttura a Campodicarne e che stando alle sue dichiarazioni, aveva avvisato Fratoianni della situazione. Anche a detta dell’ex senatrice, sarebbe stato “il forte peso mediatico” di Aboubakar a spingere i due leader a proporre la sua candidatura.
Sta di fatto che qualche giorno fa Soumahoro si è autosospeso dal gruppo Alleanza Verdi-Sinistra Italiana della Camera, passando di conseguenza al Gruppo Misto. Un gesto che sa di Mea Culpa non tanto per essere il “colpevole” di una vicenda giudiziaria che come ribadito, non lo coinvolge direttamente ma quanto per “aver commesso una leggerezza, stando più in giro e poco accanto ai lavoratori” (Soumahoro a Piazza Pulita il 24 novembre).
Previsioni future
In tutta questa vicenda, ciò che sembra essere sparito è il principio del garantismo, ovvero quel momento in cui ad accusare o meno la persona indagata sono le sentenze giudiziarie e non i media. Già qui si presentano due problemi: la persona indagata non è Soumahoro e nessuna sentenza finale è stata ancora proclamata. Da una parte però, le accuse rivolte a Karibu e Aid aumentano giorno dopo giorno, vicende poco chiare che sono risalite a galla da quel lontano 2018 e che mettono sempre più in dubbio la non colpevolezza della famiglia Soumahoro. Nel caos dell’intreccio tra le vicende giudiziarie e mediatiche, gestite in malo modo sia dagli accusati che da quegli stessi giornali che accusano, spunta un’unica certezza: l’errore sempre più frequente di proporre e accettare candidature, guardando solo alla popolarità della persona, senza fare ricerche approfondite sui candidati, avendo paura di una legge elettorale vista da molti come il male di questo paese e di conseguenza, paracadutando le persone sbagliate. Insomma, tutta una serie di scelte dove a pagarne è la stessa coalizione o partito.