Tante tessere che, apparentemente diverse e totalmente sconnesse per forma e colore, si intrecciano, infine, in un unico grande mosaico, in una storia di più esistenze. Si potrebbe riassumere così il romanzo d’esordio di Anna Voltaggio, La nostalgia che avremo di noi (Neri Pozza Editore), un’opera letteraria che si distingue per la sua straordinaria capacità di intrecciare una serie di racconti apparentemente slegati tra loro in un arazzo in cui si intrecciano le trame di straordinarie e incompiute quotidianità. Il lettore si trova catapultato accanto ai personaggi, immerso nel turbinio delle loro riflessioni che diventano il filo conduttore della storia: inizialmente sembrano rimembranze di ordinaria routine, stralci strappati alla noia dei giorni. Tuttavia, man mano che il racconto di ogni capitolo si dipana, ci si accorge che i personaggi vengono colti nel momento in cui comprendono di essere persone irrisolte, scorgono l’incompiutezza della loro vita e realizzano quanto sia grande la loro paura verso il futuro. Sembra che l’autrice abbia voluto stampare un’istantanea del loro fallimento, l’epifania che precede la sconfitta. Il fil rouge che collega i racconti è infatti la paura del fallimento che sembra prevalere sulla volontà di allontanarsi dalla dolcezza delle certezza, dalla famiglia, dal lavoro, dagli affetti, dalle abitudini consolidate che creano una rassicurante infelicità. I personaggi di Anna Voltaggio sono desiderosi di cambiare, ma restano sempre uguali, avviluppati dal timore di sbagliare continuando a promettere e a promettersi una metamorfosi, l’abbandono della vecchia pelle che li ha tenuti al caldo e al sicuro durante l’inverno dell’esistenza per abbracciare una nuova, entusiasmante veste nella primavera della loro nuova vita. Il manto pesante delle abitudini è però duro da abbandonare e così i personaggi si sottraggono al rischio dettato dal cambiamento e si privano quasi volontariamente della felicità, accontentandosi di assaporare le briciole di una gioia più grande perpetuando la loro indecisione infantile e rimanendo intrappolati nei loro desideri inespressi. Il lettore si troverà davanti alla consapevolezza agrodolce della scelta dell’errore, alla tenerezza del sentirsi smarriti e si rispecchierà in situazioni che ricordano storie vissute da ognuno di noi. Si potrà sbirciare nella vita di Clara che lascia la sua casa per incontrare il suo amante, consapevole che lo lascerà, in quella di Nina, che si innamora di un paziente psichiatrico ricoverato nella struttura in cui lavora, o in quella di Lorenzo, che abbandona la sua famiglia per Rachele, che sta cercando una nuova identità, osservando tutto ciò che non potrà mai essere… sono, insomma, storie di ordinaria solitudine, tortuosi percorsi che hanno condotto al naufragio della speranza nonostante la moltitudine di possibilità che sarebbe stato possibile intraprendere. Il cuore di questa raccolta, ciò che fa capire al lettore il suo senso più profondo, si trova nell’ultimo capitolo, l’unico scritto in terza persona, dedicato a un sommelier che perde l’olfatto a causa del Covid-19, insieme a esso il suo lavoro, scoprendosi così nudo e indifeso di fronte alla vita. La caratterizzazione dei personaggi mi ha ricordato i vinti di Giovanni Verga e la frustrante sensazione di incompiutezza che la storie narrate ne I Malavoglia o in Mastro Don Gesualdo lascia nel lettore: come nei testi veristi dello scrittore siciliano, i protagonisti di questo romanzo sono sopraffatti dal progresso nel senso più umano del termine, sono annientati dalla possibilità dell’evoluzione. Con dolcezza e brutalità l’autrice ci racconta la dicotomia gioia-dolore che convive in ogni essere umano, quelle energie opposte, ma necessarie che si completano a vicenda creando la dissonante armonia dell’esistenza.
Chiudere i conti con i ricordi nostalgici nel nuovo libro di Voltaggio
