Giacche color lampone, cilindrate d’acciaio che ruggiscono sotto motori roboanti, yatch, donne di fascinosa bellezza e lusso. La metà degli anni Novanta in Russia racconta di spropositate ricchezze, cadute rovinose, violenza e sangue. Basso, lo sguardo voracemente vivace, il lampo del giocatore, la velocità di pensiero rapace: la prima era post-sovietica corre a velocità folle negli occhi di Boris Abramovič Berezovskij. Matematico, magnate, oligarca, oppositore politico, un solo uomo può rappresentare un’intera epoca?
Un carattere, con i suoi gesti, le sue parole e azioni può sussumere nell’espressione di una generazione, assumendo su di sé il peso simbolico di un’era. Il processo complesso tra individuo e la massa critica storica segue un oscillare la cui interpretazione soggiace ad imperscrutabili leggi: è lo spirito del mondo che si fa carne nei condottieri, nel loro genio o l’individualità di quei sovrani del tempo è il frutto del grande albero delle dinamiche della storia?

Il muro crolla, l’Unione Sovietica si dissolve, immense fortune economiche sorgono dalle ceneri dell’economia statalizzata: è l’era dei falchi della terapia shock, è l’era degli oligarchi. Nel segno del primo ministro Gajdar viene avviato il processo di liberalizzazione delle aziende statali ex sovietiche. La formula governativa è “prestiti in cambio di azioni”. Una ristretta oligarchia in poco tempo costruisce vasti imperi economici, dalle infrastrutture alla telecomunicazione, dagli idrocarburi alla finanza.
Berezovskij costruisce in pochi anni la sua grande fortuna economica, divenendo in tempi rapidissimi uno degli uomini più ricchi della Russia e kingmaker della politica del Cremlino. Diventerà l’oligarca, simbolo dei nuovi potentati economico-politici, dei loro modi sfacciati, degli opachi legami con criminalità organizzata, apparati statali e l’economia internazionale. In grado di lavorare senza sosta, coraggioso al limite dell’irresponsabilità senza scrupoli, affetto da un’energia faustiana inesauribile e affabulatoria, Berezoskij meglio di tutti incarnò lo spirito degli anni novanti in Russia, l’estrema libertà senza legge: “Ciò che è mio è mio, e ciò che è tuo è oggetto di trattativa”, dirà l’uomo che desiderò farsi Zar senza mai riuscirci.
Ma chi è stata veramente questa figura tragica, assunta in poco tempo alla ribalta e poi precipitata fino alle soglie della disperazione e del suicidio? L’enigma Berovskij non è solo quello di uomo, le cui profondità sono abissi di gravità labirintica, ma quello di un’intera epoca i cui contorni appaiono altrettanto sfuggevoli, un “tempo di seconda mano” le cui dinamiche risultano fondamentali per comprendere la Russia di oggi.
Matematico senza lo spirito dell’uomo di scienza, imprenditore di successo disinteressato alla governance, magnate spregiudicato dei media, Berezovskij sarà il filo rouge dell’intera politica russa post-sovietica. Fondatore di una delle compagnie petrolifere più importanti insieme all’amico poi acerrimo rivale, Roman Abramovic, sosterrà prima l’ascesa di Putin al Cremlino per poi divenirne oppositore politico ed esule a Londra.
Un tentativo di risposta giunge dalla recente pubblicazione del libro edito da Sandro Teti Editore, “L’epoca di Berezovskij”. Il testo è una raccolta approfondita e corposa di interviste realizzate da chi conobbe Boris Abramovič in tutte le sue diverse fasi dalla vita e realizzata da un’altra figura significativa degli anni 90’, Petr Aven, Ministro del Commercio con l’Estero del governo Gajdar nel 1992 e maggiore azionista della banca privata russa, Alfa Bank.
La forma dell’intervista ha la funzionalità di rappresentare i molti riflessi della luce caleidoscopica dell’oligarca che arrivò nel 1996 a costruire il sostegno mediatico-politico in grado di confermare la rielezione al Cremlino di Eltsin, dato largamente sconfitto dai primi sondaggi pre-elettorali dopo il primo mandato.
Ne deriva un quadro sfaccettato, in grado di cogliere le diverse anime di una fase della storia russa particolarmente doloroso, confusionario e soprattutto non leggibile secondo una visione totalmente pacificata, scisso tra il diffondersi di lusso sfacciato accanto alla più estrema povertà, tra la necessità delle riforme di mercato e il crollo di un sistema avvizzito ma in grado di supportare, con tutte le sue idiosincrasie, una rete sociale di protezione.