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L’arte di unire i puntini: Prof. Mario Caligiuri

Viviamo uno dei periodi più veloci della storia: dai cambiamenti climatici a quelli geopolitici, passando per l’avanzare della tecnologia. Il Prof. Mario Caligiuri, ordinario all’Università della Calabria, rientra sicuramente tra i massimi studiosi europei di intelligence a livello accademico. Cercheremo di affrontare con lui i processi che la nostra società sta attraversando.

Professore, benvenuto. Partiamo dalla parola “intelligence”: nell’immaginario comune si pensa subito all’ambito militare, alle spie e ovviamente a quell’immaginario cinematografico legato a pellicole del genere. Cerchiamo di fare chiarezza: cos’è davvero l’intelligence?

Per facilitarci il lavoro possiamo scindere il concetto di intelligence in tre concetti differenti. Il primo è quello di un apparato statale, erroneamente definito “servizio segreto”.

Il secondo è il metodo di trattazione delle informazioni, che utilizziamo tutti per sostenere le nostre scelte.

La parola intelligence descrive inoltre anche le tre fasi che articolano il processo dell’informazione: la raccolta, l’analisi e infine l’utilizzo.

La migliore definizione di intelligence, secondo me, l’ha data Bill Gates, sostenendo che il modo migliore per prevalere sugli altri è eccellere nel trattamento delle informazioni, cioè nel modo in cui raccolgono, analizzano e utilizzano. Di cosa ha parlato Bill Gates? Delle fasi principali del processo di intelligence.

Sono attività sempre esistite, ma negli ultimi anni se ne parla con maggior frequenza: Business Intelligence e Intelligence culturale. Secondo lei perché?

La risposta è ovvia. Gli eventi di guerra che stiamo vivendo e i conflitti di domani saranno permanenti e combattuti principalmente sia sul piano economico sia sul piano culturale. Quindi rappresentano inevitabili ambiti del conflitto.

Intelligence e intelligenza artificiale: quali sono i pro e i contro di questo connubio?

Partiamo dai vantaggi: sicuramente l’IA ottimizza il flusso di enormi quantità di informazioni, ne facilita la selezione e, analizzando le tendenze, assume anche qualità predittive.

Gli svantaggi riguardano certamente la completezza delle informazioni, poiché l’IA analizza solo le fonti aperte quelle legalmente ed eticamente disponibili, mentre non può accedere alle fonti chiuse e grigie, che rappresentano certo una minima parte delle informazioni di intelligence ma sono determinanti per avere una quadro dello scenario il più attendibile possibile. 

Le fonti aperte infatti sono quelle di accesso pubblico, quelle chiuse sono riservate e infine quelle grigie sono a metà e con contenuti e fonti “borderline”. Un esempio di fonte grigia potrebbe essere un pentito o un professionista che è a conoscenza di attività contrarie all’interesse nazionale.

Spostiamoci su un altro tema a lei caro: l’educazione e l’istruzione. Vivendola “dall’interno”, quali sono stati i progressi fatti in Italia negli ultimi anni e quanto dobbiamo ancora migliorare?

Parlerei sinceramente di regressi. Analizzando i dati, la realtà è purtroppo questa ed è la somma di due fenomeni tangibili.

Il primo è il disfacimento della sfera pubblica.

I valori del buon senso, della morale e, per chi crede, del timor di Dio, che da sempre indicavano il senso del limite, oggi sono evaporati e assistiamo a un’inevitabile ricaduta educativa.

Il secondo è la trasformazione della scuola e dell’Università, a partire dal 1968 e ancor di più dalla fine degli anni Novanta in poi. Abbiano assistito a una trasformazione delle istituzioni educative, divenute degli ammortizzatori sociali per docenti e studenti: un cortocircuito che incide sulla qualità della democrazia e dell’economia.

È Presidente della Società Italiana d’Intelligence, SOCINT: quali sono i vostri obiettivi e come pensate di raggiungerli?

Far diventare l’intelligence materia di studio nelle scuole e nelle Università del nostro Paese, in analogia con quanto succede in tanti altri paesi del mondo, soprattutto di cultura anglosassone.

Nella società digitale, l’intelligence è una necessità sociale, poiché è indispensabile per le persone per orientarsi e combattere la disinformazione, per le aziende invece per affrontare la furiosa globalizzazione economica e infine serve allo Stato per garantire il benessere e la sicurezza dei cittadini.

Rimanendo in tema SOCINT, è nato da poco l’Osservatorio d’Intelligence sul Mediterraneo: come è nata questa idea e quali sono i vostri primi step?

L’Osservatorio vuole valorizzare la centralità geografica del Mediterraneo, una sorta di faro dell’interesse nazionale. Non intendiamo essere un’ennesima organizzazione che si occupa del Mediterraneo, ma uno snodo di incontro tra i tanti punti di vista presenti. Nei prossimi anni il nostro mare costituirà lo sfondo di problemi sempre più evidenti. Nella sponda africana c’è crescita  demografica mentre su quella europea l’opposto; nella prima ci sono ingenti risorse energetiche, nella seconda sempre di meno: c’è bisogno di altro per capire che il conflitto potrebbe diventare inevitabile? 

Ultima domanda prima dei saluti: come è nato il suo amore per l’Intelligence?

Nasce a metà degli anni Novanta, quando ho iniziato a insegna comunicazione pubblica all’Università della Calabria. Ho studiato, in particolare, le varie dimensioni della comunicazione istituzionale: da come poter rappresentare il marketing territoriale, quindi il versante economico, a come comprendere e utilizzare a nostro vantaggio la comunicazione istituzionale più distante dai cittadini, che è quella dell’Europa, per giungere a quella parte della comunicazione nazionale giustamente più riservata, che è quella dei Servizi.

Grazie a Franco Frattini e Vittorio Stelo scrissi un articolo su “Per Aspera ad Veritatem”, rivista del SISDE fondata da Carlo Mosca. Il mio articolo aveva come tema l’incrocio tra la comunicazione istituzionale e quella dell’intelligence.

Dopo l’uscita dell’articolo ricevo una telefonata, tramite la batteria dal Viminale: dall’altra parte della cornetta c’era Francesco Cossiga, il quale mi fece capire che affrontando scientificamente il tema dell’intelligence era importante per il Paese, poiché ne ampliava gli spazi culturali rendendola  un argomento di dibattito pubblico. In questo modo, diffusione della cultura della sicurezza finiva con il rappresentare un valore fondamentale per la tutela degli interessi nazionali.

Il resto è stata una naturale conseguenza: promozione di master, corsi di laurea, pubblicazioni, società scientifiche, università d’estate e tanto altro.   

Grazie per il suo tempo, Professore.

Sono io a ringraziare per l’attenzione. 

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